Le sudate pagine di un lettore speciale

Sguardazzo/recensione di "Una rumorosa solitudine"

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Cosa: Una rumorosa solitudine
Chi: Jacob Olesen, Amândio Pinheiro, Eugenia Barone

Dove: Lucca, Real Collegio
Quando: 14/06/2015
Per quanto: 70 minuti

Le note cadenzate e calde d’un contrabbasso scortano lo sguardo nella contemplazione di una scena surreale: un caotico trionfo di carta, pagine, libri sparsi sul pavimento. Al centro, un uomo, semicalvo, puntuto, gli occhi spiritati, il volto scavato. Sembra un soldatino di latta, improbabile marinaio camicia bianca e giacchetta azzurra. Attacca a sproloquiare con accento esotico, quasi slavo, senza fornire appigli a carpirne una sicura definizione etnica. Racconta del lavoro alla pressa compattatrice di libri buttati, trentacinque anni tra carta, topi e birra, in quell’antro surreale e sotterraneo che fa di lui un fool dai grotteschi echi inferici. Di tanto in tanto, un volume sfugge al macero, salvato da questo singolare Caronte letterario che se ne ciba intellettualmente con brama e voracità.

Lui è Hant’a, protagonista di Příliš hlučná samota, romanzo dall’impianto autobiografico di Bohumil Hrabal (nella foto qui sotto): pubblicato in patria (l’allora Cecoslovacchia) nel 1977, la traduzione italiana risale a dieci anni più tardi, titolo Una solitudine troppo rumorosa (Bompiani). Lo scrittore ceco, nel corso di un’esistenza alquanto rocambolesca, era anche stato, infatti, addetto all’imballaggio della carta da smaltire, durante il regime comunista: tale esperienza viene dragata in un volume dai toni grotteschi e affascinanti.
Bohumil HrabalAmândio Pinheiro (questa la grafia corretta, ma le varianti si sprecano) traduce anzitutto fisicamente il carattere di Hant’a, facendone una specie di Woyzeck librario, umoristico e febbrile, un escluso dal consesso umano, cui partecipa con alterne fortune. Si racconta, ed è un profluvio di parole, quasi gli mancassero tempo in tasca e terra sotto le suole: si agita, solca la scena mostrando agli astanti (il monologo è rivolto al pubblico, con piglio imbonitorio) i pulsanti per l’innesco della macchina che compatta, esibendo con un certo affetto i molteplici aspetti della speciale mansione. Si estenua, anche fisicamente: il sudore trasuda visibile, umano. È una figura dolce, comica e sfuggente, abbevazzato naïf che sfoglia Nietzsche, cita Lao-Tze, scherza con Hegel, Cartesio e Kant in un caravanserraglio libresco tutt’altro che semplicista, via via punteggiato dagli interventi musicali di Eugenia Barone. La recitazione, talvolta, rischia l’avvitamento su se stessa, quasi depistando l’attenzione dello spettatore, pur ammaliato da tanto e contagioso afflato affabulatorio.

La vita scorre, al di fuori e al di sopra della stanza; il lavoro e l’accumulo letterario proseguono sino all’adeguamento tecnologico, la messa a punto di un macchinario che rende inutile la presenza dell’uomo nel controllo che il processo vada a buon fine. Hant’a si dispera, la riflessione si fa più acuta, sino alle conseguenze più estreme: in un mondo che non lo vede più come “utile”, il suo posto non c’è, alla stregua di quei monaci (egli stesso lo racconta) che si dettero la morte perché incapaci di sopportare la rivoluzione copernicana, con la terra (e quindi l’uomo) ridotta a mero dettaglio in un cosmo infinito e ormai indifferente.

Poco più di un’ora, comunque ben spesa, nell’afosa prima sala del Real Collegio.

 

VERDETTAZZO

Perché: Sì, oppure no
Se fosse... una bevanda sarebbe... un fernet tradizionale diluito con un goccio d'acqua praghese

Locandina dello spettacolo



Titolo: Una rumorosa solitudine

di Jacob Olesen e Amandio Pinhero
liberamente tratto da Una solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal
con Amandio Pinhero
regia Jacob Olesen
contrabbasso Eugenia Barone
musiche Pino Pecorelli


“Da trentacinque anni presso carta vecchia e dei bei libri.” Nel magazzino di riciclo di carta un uomo condivide con i topi i capolavori di Goethe e Schiller. Istruito contro la sua volontà si perde nelle parole trovate per caso nei libri del suo cimitero di carta. Tra una brocca di birra e le parole di Nietzsche, Kant o Hegel, la sua mente viaggia tra la Bibbia e il Libro canonico delle virtù di Lao Tze. Il magazzino diventa luogo di incontro di fantasie, ricordi e visioni. Attraverso Gesù e Lao Tze si sviluppa una parabola in tensione tra contemplazione e modernità, tra romantico e classico, che lo porterà a comprendere di non essere capace di adattarsi al mondo nuovo, accettandone le conseguenze. Accompagnato dal contrabasso di Eugenia Barone, Amandio Pinheiro gioca con le voci di una grande biblioteca sotterranea. Brandelli di filosofia prendono vita, illuminando i ricordi in uno spettacolo asciutto e diretto. Un viaggio tra ragione ed immaginazione che solo i libri possono evocare.

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.