A prima (s)vista – Affissioni di propaganda teatrale. Selezione Febbraio 2016

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Tutti gli spettacoli meriterebbero un manifesto – un’affiche, per fare i raffinati – che, pur rimanendo fisso, incollato a un pannello in doppia o quadrupla copia, riesca ad eccitare la fantasia del passante affaccendato, a incuriosire l’automobilista inchiodato al semaforo, a sorprendere il passeggero distratto sul filobus.
Non tutti ne hanno uno, ahimè, e gli spettacoli che hanno la fortuna d’essere reclamizzati per via di affissioni pubblicitarie ne hanno forse più svantaggi che benefici.
Io, che sono Arlecchino, sono vagabondo per natura. E quando passeggio, ciondolando tra le vie che si svuotano all’imbrunire, mi fermo a guardare i manifesti dei teatri. E giudico.

Il bello attrae, il brutto respinge.
Il bello seduce, il brutto spaventa.
Si ha bisogno di entrambi, così come nel passato c’è il futuro, e vivendo si pensa alla morte.
L’attore, che sia una star hollywoodiana o un professionista nostrano, è un idolo. L’idolo incarna brillantemente il mito dell’immagine; l’idolo è un sogno, e come i sogni condensa desideri e paure. Gli attori-idolo trascrivono la funzione mitica dell’immagine, che affascina, quando inventa una sciagura non vera ma verosimile, e comunque innocua (nel tragico), e respinge, quando schiude le porte della verità (nel comico). Per questo è così raro trovare attori tragici brutti e attori comici belli.
Filosofia a buon mercato? Può darsi, ma non del tutto inopportuna, visto che tra le numerosissime locandine di febbraio (si sa che l’inverno è momento apicale dell’offerta teatrale, per motivi che ancora non mi sono del tutto chiari) ne ho scelte quattro che proprio hanno a che fare col bello e col brutto.

tate_facce_nella_memoriaEcco quindi che le partigiane di cui si racconta la dolorosa vicenda legata alla strage delle Fosse Ardeatine, nello spettacolo Tante facce nella memoria (lo si è visto alla Città del Teatro di Cascina, il 20 febbraio), sono interpretate da sei belle donne (Benedetta, Nappi, Natoli, Savino, Solder, Tomarelli), che nel manifesto attorniano la regista Cristina Comencini, in un’impaginazione non originale, ma comunque riuscita, soprattutto grazie a un buon lettering, nitido e squadrato (a contrasto col movimento circolare impresso dai sette volti sorridenti).

duellantiE potevano i tenaci e livorosi duellanti di Conrad (protagonisti di uno dei più celebri racconti dello scrittore polacco-britannico, datato 1908) essere interpretati da due bruttarelli canuti e sfranti? Direi di no. Pertanto Alessio Boni e Marcello Prayer fanno bella mostra di sé, ovviamente fotogenici, sul manifesto dello spettacolo diretto dallo stesso Boni (teatro di cappa e spada, ha detto perfino qualcuno): anche volendo far prevalere ragioni filologiche, non mi sembra che Conrad abbia descritto Armand e Gabriel come «due figaccioni muscolati ed esperti nell’uso del trimmer». Ad ogni modo, giallo Kill Bill e nero “d’ombre” stanno bene insieme.

nino1Versante opposto: il comico. Si riderebbe dello strano condensato shakespeariano scritto da Adam Long, Daniel Singer e Jess Winfield se a interpretarlo fossero i sopra citati Boni e Prayer? Domanda retorica. Sta di fatto che sono Alessandro Benvenuti, Nino Formicola e Francesco Gabbrielli (non proprio le tre grazie, non ce ne vogliano) i protagonisti di Tutto Shakespeare in 90 minuti. E non è un caso che la locandina fumettistica in bianco e celeste ne esalti le smorfie e i ghigni anziché il corpo scolpito. Interessanti i caratteri di stampa (talmente convenzionali da essere anticonvenzionali), un po’ meno (perché banalotti e pretenziosi) i virgolettati che annunciano grasse risate, secondo il pessimo costume delle quarte di copertina dei libri.

veronika1Brutto, ma per davvero (e allo stesso tempo gloriosamente bello), è lo scimmione (un gorilla albino, per la precisione, mutazione genetica recessiva che sbianca il pelame) che occupa l’intero spazio del manifesto di Ti regalo la mia morte, Veronika, spettacolo che Antonio Latella ha tratto da un film di Fassbinder (Prato e Pontedera le città toscane che l’hanno ospitato). Qui il comico entra fino a un certo punto: la “scimmia” non è quella sulla schiena dei drogati (nessun rimando a Burroughs, o forse sì?); è solo un modo potente per richiamare l’attenzione del passante sull’affiche (al punto che il testo quasi scompare nel folto bianco).

l'Arlecchino
È un semplicione balordo, un servitore furfante, sempre allegro. Ma guarda che cosa si nasconde dietro la maschera! Un mago potente, un incantatore, uno stregone. Di più: egli è il rappresentante delle forze infernali.

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