Non voltarti, l’Orfeo oscuro del Lemming

Sguardazzo/recensione di "Cantami Orfeo"

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Cosa: Cantami Orfeo
Chi: Massimo Munaro, Chiara Elisa Rossini
Dove: Porcari (LU), SPAM!
Quando: 19/05/2016
Per quanto: 50 minuti

Accolti dalla penombra d’uno spazio reso ignoto da un timido chiarore di candele (l’ampia sala che SPAM! solitamente adibisce a foyer), depositiamo armi e bagagli, scarpe incluse. Una pioggia maldestra ticchetta la superficie del capannone, rendendo ancor più polanskiana la singolare circostanza. Ci prendiamo per mano con altri due compagni di visione, obbedendo ai cortesi dettami di Massimo Munaro, storico membro e fondatore del Teatro del Lemming: al centro della sala Cestaro, campeggia una quadrilatera struttura su cui siede una forma antropomorfa. Veste una sorta di saio dal colore poco percepibile. Sibila qualcosa al microfono: suono sottile, da rettile in attesa.

Oscurità, inquieta incertezza, cecità come approdo estremo, questa la moneta coniata dalla compagnia rodigina in un peculiare percorso che abbraccia tre decenni di scena, con esperienze volte a indagare, sfibrare, persino sfondare i limiti endemici del teatro, sfidandone le aporie, manomettendone i gangli fondamentali: un lavoro di erosione condotto con paziente dedizione, perseguendo la via, personale e impervia, che passa dal teatro dribblando lo spettacolo, prediligendo il senso sul numero, lo spettatore sul pubblico. Per il Lemming (curioso roditore scandinavo la cui esistenza è spesa in una disperata migrazione senza meta da concludere col suicidio in mare) è fondamentale porre lo spettatore al cuore del fatto scenico, eleggerlo a protagonista sensoriale della performance, in un rovesciamento di convenzioni che nega ereticamente lo sguardo quale dimensione aristotelicamente primaria dell’esperienza teatrale (là dove teatro implica, nell’etimo, l’atto di vedere).

Cantami orfeo- foto Teatro del LemmingPer questo ci troviamo distesi su un pavimento di morbidi materassi, immersi in un buio né amico ma neppure nemico, disposti a raggiera, le teste convergenti verso il rettangolo descritto dalla struttura di tubi. Sopra essa, uno specchio che, talvolta, rimanda vaghe immagini di quella figura femminea (Chiara Elisa Rossini) che narra, si muove, appare e dispare sulle note d’un pianoforte, tessendo una fitta trama di lacerti testuali: Martino Ferrari (altro fondatore del gruppo, scomparso prematuramente), Ferida Duraković, Alda Merini, Rainer Maria Rilke. La struggente vicenda di Orfeo ed Euridice è mito, asse portante: in quanto racconto, patrimonio condiviso da millenni, è orizzonte già (di)spiegato, qualcosa che ci parla ancor prima d’aver voce, per quell’insostituibile e portentosa macchina del tempo che è il teatro (in ciò, compagno della letteratura). Riempiono lo spazio le note d’un pianoforte: è Munari medesimo a carezzarne i tasti, per una partitura carica di pathos, che indugia scientemente su tonalità minori. 

cantami orfeo - foto Lemming - incappucciatoVolume e penombra sovrastano parole e immagini: la con-fusa oscurità, da cui tutto promana e cui tutto ritornerà (lo dice Shakespeare, mica un arlecchino qualsiasi), è destinata a prevalere. A noi non resta che l’inquieto piacere di un’immersione tattile che, senz’altro, non dimenticheremo, col solo tarlo dubbioso circa l’effettiva pregnanza tra il soggetto prescelto (Orfeo disceso nell’Ade a reclamar l’amata) e questo peculiare modus di allestimento. L’impressione, infatti, è che, almeno in questo caso, lo stile come marcatura distintiva (croce e delizia per qualsiasi produzione artistica) finisca per segnare l’esperienza ben più di quanto non faccia il racconto in sé, e ciò possa costituire, in un certo qual modo, un limite endemico del lavoro.

Consensi composti dallo sceltissimo pubblico di SPAM.

VERDETTAZZO

Perché: Sì, oppure no
Se fosse... un gioco sarebbe... la mosca cieca

Locandina dello spettacolo



Titolo: Cantami Orfeo

con Chiara Elisa Rossini e Massimo Munaro
assistenza tecnica Alessio Papa
elementi scenici costruiti da Luigi Troncon
musiche e regia Massimo Munaro
produzione Teatro del Lemming 2015


con Chiara Elisa Rossini e Massimo Munaro assistenza tecnica Alessio Papa elementi scenici costruiti da Luigi Troncon musiche e regia Massimo Munaro produzione Teatro del Lemming 2015 e se il mondo ti avrà dimenticato dì alla terra immobile: io scorro, e all'acqua rapida ripeti: io sono. R. M. Rilke Questo lavoro da una parte continua una ricerca, avviata con Musiche del Tempo, sulla capacità del suono di costituirsi come stanza della memoria, dall'altra si pone come primo movimento di un progetto che il Lemming ha intrapreso attorno al mito di Orfeo ed alle Metamorfosi di Ovidio. Dopo una serie di lavori rivolti ad una comunità di spettatori, che non prevedevano più una limitazione al numero di partecipanti, la Compagnia torna così a sperimentare attorno ad una drammaturgia sul mito dedicata al singolo e/o ad un piccolo gruppo di spettatori. Il lavoro è rivolto, infatti, ad un massimo di venti spettatori a replica, invitati ad adagiarsi su un grande materasso/altare bianco: come a suggerire uno sprofondamento orfico nel regno dell'inconscio e della morte. La musica, proveniente da ogni lato della sala, avvolge la percezione di ogni singolo partecipante. La visione, per una volta, procede invece dal basso verso l'altro, ed è continuamente cangiante come in un infinito riflesso di specchi. Nei lavori del Lemming, come sempre, non si tratta semplicemente di assistere ad uno spettacolo, quanto piuttosto di esserne completamente immersi e di vivere così una piccola esperienza. C'è qualcosa di profondamente intimo e spiazzante in questo sprofondamento, nella simmetrica fragilità che si realizza fra noi. Rispetto a Musiche del tempo gli spettatori, piuttosto che sprofondare completamente nella suggestione onirica del rito, sono invitati a prenderne parte in qualche modo più consapevolmente. Il racconto di Ovidio si materializza davanti a noi continuamente interpuntato da altri frammenti poetici che ci aprono ad un immaginario più personale e profondo. E' come se invitassimo lo spettatore a compiere, come Orfeo, una sua personale catabasi, una discesa nel mondo infero che è anche, inevitabilmente, un viaggio nella memoria. Orfeo vuole ritrovare la sua amata morta: Euridice. E la visione si sdoppia. L'amore perduto di Orfeo diventa così il desiderio che non siamo stati in grado di ascoltare, la donna dimenticata, l'amico scomparso, i sogni che non abbiamo saputo realizzare. Come Orfeo attraverso il mezzo dell’arte, del componimento poetico e musicale, ottiene dagli dèi la grazia che gli consente di intraprendere il viaggio nell’Aldilà, così per noi si apre un viaggio, impossibile, nella terra degli assenti, un viaggio a ritroso nella memoria, nei frammenti di ricordi perduti. Perché, come ricordava Borges, "noi siamo la nostra memoria, siamo questo chimerico museo di forme incostanti, questo mucchio di specchi infranti".

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.