Ragazzi di morte

Sguardazzo/recensione di "Köszeg"

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Cosa: Köszeg
Chi: Ledwina Costantini, Daniele Bernardi
Dove: Vorno (LU), SPE Dello Scompiglio
Quando: 29/09/2019
Per quanto: 65 minuti

È un’immersione, fisica e poetica, il viaggio che la compagnia svizzera Opera retablO ricava da uno dei più lancinanti capolavori della letteratura europea degli ultimi trent’anni. Lo fa dosando verbalità e immagine, azione e parola, assumendosi in pieno la responsabilità creativa della traslazione formale, la sfida implicita del teatro nel dare ai concetti corpo, vita e spazio.

Uno spazio denso, quasi viscoso: per la portata simbolica (ogni singolo elemento della scena site specific ha una sua meditatissima valenza); per natura prossemica (lo spettatore non ha postazione stabilita, libero di muoversi all’interno d’un ambiente certo non confortevole); per impatto sensoriale (la penombra, come l’intenso profumo di cera delle candele accese sono sensazioni che segnano l’esperienza).
Siamo in uno luogo scuro, aiutati appena dal fioco tremolio delle fiammelle, attorniati da oggetti peculiari: ai lati, scatoloni come palazzi d’una città; al centro, un lungo tavolo di metallo. Il tutto è avvolto da una partitura rumoristica che acuisce la sensazione spaesata. Compare (anzi: c’era già) Ledwina Costantini in fogge da scolaretto. Attraversa lo spazio. Scopre il corpo nudo di Daniele Bernardi, disteso sul piano, come quello d’un obitorio. Lui si sveglia. Lei gli passa dei panni, in tutto analoghi a quelli che indossa.
Ecco i gemelli.

La trilogia della città di K. è testo irrinunciabile della nostra epoca; racconto laterale e allucinatorio d’una guerra o, meglio, dei suoi sopravviventi, fratelli calati nella più degradata e putrescente delle miserie, ove non c’è decenza né censura né senso. Ágota Kristóf, ungherese d’adozione elvetica, nel 1986 pubblica Le Grand Cahier, in francese, sua lingua d’adozione: è il primo tassello della trilogia riconosciuta come il suo capolavoro. Ed è su questo primo testo che si basa gran parte del lavoro di Costantini e Bernardi, che riescono in un’efficace traduzione, diremmo sinestetica, dell’opera sorgente.
La voce off porge brevi estratti da questa, e i due interpreti sostanziano scenicamente il racconto, svincolati, però, dal rispetto letterale del dettato: giocano, nel senso più profondo e teatrale, abitano la scena, vi spandono la terra adagiata su un lato, impugnano i soldatini per immaginarie, sanguinose battaglie, tracciano disegni sul grande quaderno poggiato sul tavolo. Crudeli e fragili, disperati e potentissimi, schifati dal mondo e dalla vita, si auto-impongono rigorosissimi esercizi di resistenza, tenendo fede al proposito di difendersi, fortificarsi, immunizzarsi. Non profferiscono una singola parola.

In queste scorribande, dense di simboli non sempre del tutto leggibili, Bernardi e Costantini sono i due ragazzi del libro, ma pure altro, altri. Quei guizzi, rabbiosi e dolcissimi, ingenui e cattivi, riflettono la violenza d’ogni giovinezza fagocitata dal dolore: potrebbero non essere i figli d’una guerra passata, bensì quelli delle nostre suburbie, dove brillano glitter e non mine, dove si sognano soldi facili, con tutte le minuscole volontà di minuscola potenza ispirate da una società slabbrata, allo sbaraglio. O potrebbero essere i figli d’un paese ricco, pure troppo, che paga, senza neppure darsene conto, il misurato e opulento benessere della sua borghesia, la sua apparente tranquillità, sacrificando tutti coloro, non pochi, che mal s’adattano alla norma.

Nel rispetto della struttura a specchio del libro, Köszeg si chiude senza il tempo dell’applauso, pacificato ritorno alla realtà, per sancire la fine della finzione.
Non hanno finto, quei due. Quella è realtà. Lo sentiamo bene, e non per un’amicizia che non avrebbe senso celare.
Ce ne fossero, di spettacoli così.

[Ecco l’altra recensione pubblicata sullo spettacolo, nel 2015]

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... una canzone sarebbe... "Cannibal's Hymn" di Nick Cave

Locandina dello spettacolo



Titolo: Köszeg

regia Ledwina Costantini
di e con Daniele Bernardi e Ledwina Costantini
costumi Caterina Foletti
scenografia Opera retablO e Michele Tognetti
musica Samantha Bertoldi
riprese Massimiliano Rossetto
montaggio Edmè Gordon
fotografia Sara Pellegrini, Stefano Sergi e Ivana Ziello
logistica Nando Snozzi, Andrea Bianchetti
produzione Opera retablO

 


Creata in forma site-specific per i primi due studi, la pièce è stata presentata in due ambienti molto particolari e diversi: una grotta di tufo grigio a Napoli e una vecchia villa fatiscente a Bellinzona. Per il debutto è invece previsto un riadattamento pensato per il palcoscenico. Kőszeg sarà dunque disponibile nei due formati, quello site-specific per le location alternative e quello teatrale per le sale con una struttura tradizionale. Lo spettacolo è liberamente ispirato al volume Trilogia della città di K. della scrittrice ungherese, naturalizzata svizzera, Ágota Kristóf (Csikvànd, Ungheria, 1935 – Neuchâtel, Svizzera, 2011). L’opera è composta da tre romanzi: Il grande quaderno, La prova e La terza menzogna. L’autrice, considerata una delle maggiori esponenti del Novecento letterario europeo, fuggì in Svizzera nel 1956, a seguito dell’intervento in Ungheria dell’Armata Rossa. Stabilitasi con la famiglia a Neuchâtel (CH), lavorò per parecchi anni in fabbrica. Nelle sue opere si è espressa quasi esclusivamente in francese, la sua seconda lingua. L’esperienza personale della guerra, del distacco dalla famiglia e dal suo paese d’origine, permea in modo autobiografico, con maggiore o minore evidenza, tutti i suoi scritti, dai quali spiccano con schietta semplicità le barriere che oggi come ieri separano paesi, persone e ideologie. Lo spettacolo parla d’identità, di separazione e di un’umanità condannata al limite, al margine. Protagonisti di Kőszeg sono due fratelli, indivisibili e interscambiabili come se avessero un’anima sola. Due piccoli adulti dalla prodigiosa intelligenza che, grazie alla logica della sopravvivenza, sviluppano una cristallina e brutale etica di vita. Intorno a loro, si muovono personaggi disegnati con pochi tratti scarni in un contesto di fame e morte. Un racconto nero dove tutto è reso feroce ed essenziale da una scrittura limpida e diretta che non lascia spazio alle divagazioni. Un narrare dove tutto può essere il contrario di tutto. Nel susseguirsi delle immagini, sempre in bilico tra età adulta e infanzia, lo spettacolo propone una riflessione sull’identità e sull’appartenenza. Spettacolo sconsigliato ai minori di 18 anni e disponibile in Italiano, Tedesco, Francese e Inglese

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.