Tempi moderni, seconda serata: Segromigno in Monte e Marlia

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Altro giro, altra corsa. Altri due spettacoli, in una kermesse che somiglia un po’ a certi tornei sportivi, con molte partite simultanee e l’impossibilità di seguirne il corso per intero.
Ed è gioco forza, nella cronaca delle serate successive ai debutti, specialmente per gli articoli dello stesso autore, l’attenzione si concentri sul contesto (di per sé uno degli elementi più interessanti di questa manifestazione) e sulla variazione tangibile delle performance.

È quanto abbiamo osservato in questa seconda serata alle prese con Per i bischeri non c’è paradiso e La finale delle schiappe

Il paradiso in Corte Speziale

Se, nella prima occasione, la luce solare aveva lambito la perfomance di Ranieri e Frasson, qui a Segromigno, appoggiati sul versante collinare opposto rispetto a quello di Badia di Cantignano, tocca pure a Romano e Nieddu approfittare di Febo. La corte, in sé, ci è parsa meno popolare delle precedenti, e forse pure il pubblico, per quanto la risposta durante e alla fine della performance sia stata assolutamente positiva, calda e accogliente.

A dimostrazione di come gli spettacoli dal vivo siano esseri viventi, registriamo la maggior scioltezza da entertainer di Mariano Nieddu: complice la possibilità di vedere i volti degli spettatori, riesce subito a coglierne l’umore, sintonizzandosi bene sulla lunghezza d’onda giusta. Lo conferma il momento centrale del monologo, quello in cui il testo prevede, da parte del protagonista, l’attesa di una risposta da parte dell’inserviente dell’aldilà: si tratta di un inserto sospeso, da poter riempire a piacimento, a seconda della circostanza contestuale, uno di quei trucchi cabarettistici che, se ben portati, assicurano il successo finale di un pezzo. Romano, da parte sua, contribuisce non poco alla riuscita e l’insieme è davvero ancora più godibile. 

Un primo elemento che affiora da questa ripetuta di Per i bischeri non c’è paradiso è rappresentato dall’effetto, del tutto positivo, di una visione reiterata, rendendo la fruizione una nuova esperienza, e non la semplice riproposizione di quanto avvenuto la sera precedente.

Le schiappe in Corte Biagetti

Il tempo di un caffè, e via, sempre sulla stessa dorsale, a circa quattro chilometri da Segromigno, ci caliamo nell’ancor più verde paesaggio di Marlia. E qui diventa un vero piacere notare, quanto a La finale delle schiappe, le (perdonabili) incertezze della prima performance abbiano lasciato il campo a una felicissima fluidità, difficile da prevedere appena ventiquattro ore prima. In questo caso, c’è da dire che si trattava delle quarta replica: dopo il debutto a Santa Margherita, Ranieri e Frasson avevano la doppia a Ruota, nella stessa sera, con la “pomeridiana” di Matraia poco prima di questa alla quale assistiamo.
E se su Giselda non possiamo che confermare quanto già scritto in precedenza, rispetto a Frasson e al testo di Boncompagni, dobbiamo assolutamente sottolineare come tutta una serie di minuzie e tratti che, in prima visione, erano sembrati pur non drammatici cedimenti, con una performance più sicura si sono trasformati in autentici punti di forza. L’attrice gioca sulle tonalità vocali più disparate, si costruisce un personaggio imperniato su una certa, dosatissima frivolezza muliebre, su una vezzosità ingenua ora davvero funzionale al discorso. Si è a tal punto appropriata del testo da poterci giocare a piacimento, uscendo e rientrando dal carattere, piegando la struttura testuale secondo le esigenze estemporanee. Un’autentica rivelazione e un piacere che, però, ci pare riservato solo a coloro, come noi, che abbiano la follia (e la ventura) di assistere a più performance, penetrando maggiormente le maglie dei testi, così come le trame musicali.

Non è un segreto che la musica agisca per iterazione, e non possiamo certo escludere un simile fenomeno per altri tipi di performatività, come quella del monologo comico. Ed è così che l’esperienza interessante diventa proprio quella di assistere a più repliche, in contesti diversi e altrettanto peculiari (per le ragioni urbanistiche, sociali, antropologiche di cui abbiamo già parlato), dei medesimi allestimenti.

 

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.

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