ARCHIVIO SPETTACOLI

    Amleto + Die Fortinbrasmaschine, R. Latini (2016)

    Titolo: Amleto + Die Fortinbrasmaschine
    Regia: Roberto Latini

    di e con Roberto Latini

    musiche e suoni Gianluca Misiti
    luci e tecnica Max Mugnai

    drammaturgia Roberto LatiniBarbara Weigel
    regia Roberto Latini

    movimenti di scena Marco Mencacci
    organizzazione Nicole Arbelli
    foto Fabio Lovino

    produzione Fortebraccio Teatro

    in collaborazione con
    L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino
    ATER Circuito Regionale Multidisciplinare – Teatro Comunale Laura Betti
    Fondazione Orizzonti d’Arte

    con il contributo di
    MiBACT
    Regione Emilia-Romagna

    AMLETO + DIE FORTINBRASMASCHINE 
    Roberto Latini

    Amleto + Die Fortinbrasmaschine è la riscrittura di una riscrittura.
    Alla fine degli anni ‘70 Heiner Müller componeva un testo che era liberamente ispirato all’Amleto di Shakespeare.
    Oggi, tentiamo una scrittura scenica liberamente ispirata a Die Hamletmaschine di Heiner Müller.

    Lo facciamo tornando a Shakespeare, ad Amleto, con gli occhi di Fortebraccio, con l’architettura di Müller, su un palcoscenico sospeso tra l’essere e il sembrare.
    Intitoliamo a Fortebraccio il nostro sguardo sul contemporaneo, la caccia all’inquietudine nel fondo profondo del nostro centro, per riscriverci, in un momento fondamentale del nostro percorso.
    Ci siamo permessi il lusso del confine e abbiamo prodotto da quel centro una deriva.
    Una derivazione, forse; alla quale riferirci nel tempo, o che probabilmente è il frutto maturo di un tempo che già da tempo è il nostro spazio.

    Di Heiner Müller conserviamo la struttura, la divisione per capitoli o ambienti e componiamo un meccanismo, un dispositivo scenico, una giostrina su cui far salire tragedia e commedia insieme.
    Die Hamletmaschine è modello e ispirazione: Album di Famiglia; L’Europa delle donne; Scherzo; Pest a Buda Battaglia per la Groenlandia; Nell’attesa selvaggia, Dentro la orribile armatura, Millenni.
    Ci accostiamo alla potenza della sua intenzione trattandolo come un classico del nostro tempo.

    La riflessione metateatrale e quindi culturale e quindi politica che ci ha sempre interessato, la capacità del teatro di rivolgersi a se stesso, alla sua funzione, alla sua natura, per potersi proporre in forme mutabili, mobili, è la voce dalla quale vorremmo parlare i nostri suoni.

    L’Amleto è una tragedia di orfani, protagonisti e antagonisti di un tempo in cui i padri vengono a mancare. Anche “Die Hamletmaschine”, ormai, da figlio è diventato padre.
    Questo ha a che fare con la nostra generazione, da Pasolini in poi, con la distanza che misura condizione e divenire, con il vuoto e la sua stessa sensazione.
    Siamo Fortebraccio, figlio, straniero, estraneo e sopravvissuto e arrivando in scena quando il resto è silenzio, domandiamo: “Where is this sight?”

    AMLETO UND DIE FORTINBRASMASCHINE
    Barbara Weigel

    Frequentare i personaggi della tragedia di Amleto necessariamente significa rifrequentarli. Sono i nostri mitici antenati, una sorta di miti-genoma della nostra cultura. Come tali, ogni volta che li rincontriamo, ci danno una nuova misura della distanza che intercorre tra loro e noi.
    Frequentarli significa anche dover rivalutare ogni volta di nuovo questa distanza, interrogarci ogni volta su dove stiamo e chi siamo diventati – come per capire l’evoluzione della nostra civiltà e, nello specifico, della nostra cultura teatrale.
    Heiner Müller, che ha chiamato il teatro “un istituto per la riparazione di classici in cattivo stato di marcia”, ha visto Hamlet e Ophelia come delle macchine-mito.
    Ri-frequentandoli prima di noi, tra l’Est e l’Ovest di una Germania fine anni ‘70, Müller ha nutrito la loro energia mitica con la storia della sua epoca: cortocircuitando storia e mito, ha rimesso in moto la macchina Amleto.
    Ha liberato i personaggi in un movimento poeticamente autonomo, li ha collocati oltre il testo di Shakespeare, in uno spazio visionario nel quale la loro tragedia poteva diventare ancora concreta e tangibilmente parte della nostra storia recente. Secondo Müller, questo tipo di operazione diventa necessaria fino al superamento della condizione umana dalla quale sorgono le tragedie di Shakespeare.
    Noi quindi ci inseriamo nella serie delle evocazioni, trovando un Hamlet oggi consapevole della sua vita di palcoscenico – vita intrisa delle nostre storie di teatro – e ci interroghiamo su chi è, se, con Müller, non è più Hamlet, e su chi poi sarà.
    Immaginiamo un Amleto che ha smesso di stare in riva al mare a parlare alle onde, con alle spalle le rovine d’Europa già percepite da Heiner Müller, mentre uno dei figli di Ecuba, Polidoro, vittima innocente anche lui di vendette nefaste, viene dal mare per approdare a quelle stesse coste.
    Ci poniamo le domande che si poneva già Heiner Müller:
    Che cos’è che ritorna?
    Quali sono i fantasmi che vengono dal futuro?

    Ciò che è morto, non è morto nella storia. Una funzione del dramma è l’evocazione dei morti – il dialogo con i morti non deve interrompersi fino a che non ci consegnano la parte di futuro che è stata sepolta con loro.
    Heiner Müller, 1986*

    *da Gesammelte Irrtümer 2, Verlag der Autoren, Frankfurt a. M., 1996, p.64, traduzione B. Weigel

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