ARCHIVIO SPETTACOLI

    Ubu roi, R. Latini (2012)

    Titolo: Uburoi
    Regia: Roberto Latini

    di Alfred Jarry
    adattamento e regia  Roberto Latini
    con  Roberto Latini
    e con
    Savino Paparella, padre Ubu
    Ciro Masella, madre Ubu
    Sebastian Barbalan, regina Rosmunda/ zar Alessio 
    Marco Jackson Vergani, capitano Bordure/ Orso
    Lorenzo Berti, re Venceslao/ Spettro/ Nobili
    Guido Feruglio, principe Bugrelao
    Fabio Bellitti, palotini/ Orsa/ Messaggero

    musiche e suoni Gianluca Misiti
    scena Luca Baldini
    costumi Marion D’Amburgo
    luci Max Mugnai
    direzione tecnica Max Mugnai
    collaborazione tecnica Nino Del Principe
    assistente alla regia Tiziano Panici
    cura della produzione Federica Furlanis
    promozione e comunicazione Nicole Arbelli
    foto Simone Cecchetti
    produzione Fortebraccio Teatro
    un progetto realizzato in collaborazione con Teatro Metastasio Stabile della Toscana

    Note di regia: Io credo nel Teatro. Ovvero, nell’occasione del Teatro.
    Nei classici e nel contemporaneo, come ‘declinazione’.
    Jarry ci restituisce all’occasione teatro superando addirittura la natura stessa del suo testo.
    Non sono le parole, la struttura, la trama addirittura, addirittura la drammaturgia, ma lo spirito di libertà che accompagna ogni scena. E’ come se l’autore avesse voluto darci questa libertà creativa, proporre Teatro e non letteratura.
    Scrivo Jarry e penso si possa leggere Shakespeare.
    Abbiamo lavorato tenendo questo continuo riferimento, tutti i parallelismi possibili.
    Li abbiamo distillati, scelti, evocati, da Macbeth ad Amleto, passando per Romeo e Giulietta o Giulio Cesare o La Tempesta.
    Abbiamo integrato Jarry col suo proprio modello e Shakespeare con l’inventore della patafisica, li abbiamo entrambi ricondotti al nostro tempo teatrale, al nostro sentire, al nostro modo di stare al Teatro.
    Come quando improvvisamente si nota un particolare prima trascurato, come quando ci si volta con la sensazione di essere seguiti, abbandonati all’incanto cosciente del déjà vu, abbiamo voluto credere che in un angolo del palco, con la catena al collo di Carmelo Bene ci fosse Pinocchio. Abbiamo assecondato questa sensazione e ci siamo goduti l’incontro di questi personaggi fuori dal tempo e da ogni spazio possibile.
    Gli Ubu sono un’alterazione e una capacità insieme. Dalla loro comparsa sulla scena si può stabilire un punto di non ritorno. E quindi anche di appartenenza, o partenza nuova.
    Mentre ci si affannava ad accompagnare il Teatro alla vita e ricomporre tutte le sfumature dei velluti del Teatro intanto borghese, Jarry è riuscito a ricondurci al Teatro, a riconvocarci, proponendo delle figure e una modalità di relazione tra testo e scena assolutamente contemporanei. Jarry propone una nuova convenzione, più che moderna, dentro l’assolutezza che soltanto i classici riescono a determinare.
    Ubu apre la strada al Teatro del Novecento. Per quel che ci accompagna, da Artaud a Leo de Berardinis.
    Mi sono nel tempo convinto che quanto proposto dalla scena difficilmente riesca a stare al passo con i cambiamenti che avvengono in platea. Voglio dire che la velocità di trasformazione, di evoluzione, del pubblico, i gradi, come conquista, della comunicazione e ogni altra relazione che si stabilisce tra lo spettacolo e il pubblico, sono più in avanti di quanto generalmente lo spettacolo riesca a proporre.
    Jarry, insieme a pochi, pochissimi altri, è riuscito invece a darci un appuntamento dentro il futuro prossimo, spostando il luogo dell’incontro dalla convenzione stabilita alla relazione possibile.
    La patafisica, o scienza delle soluzioni immaginarie, è una parola che da sola può essere sinonimo di Teatro.
    Anche il cosiddetto Teatro di Ricerca ha ormai la sua “tradizione”.
    E’ piuttosto desolante, ma è così. E’ preoccupante, ma è così. Ed è un peccato che sia così.
    C’è una sorta di conformismo che viene a mio parere da una serie di malintesi e che porta sulla scena una modalità che è più forma che sostanza. Mi prendo la responsabilità di quanto scrivo.
    Il primo malinteso è la distinzione, tutta italiana, tra sperimentazione e tradizione, quando invece il problema è lo spettacolo senza teatro che mortifica il coraggio delle proposte e delle idee.
    Il sipario dovrebbe aprirsi mostrando l’altezza di una condivisione, un’aspirazione, ed è invece troppo spesso la cornice alla proiezione sterile della rappresentazione, a sua volta impoverita dalla ricchezza pataccara di consolazioni da palcoscenico presunto.
    Lo stile e il compromesso sono due categorie senza appuntamento.
    E la responsabilità è ormai di tutti, nessuno escluso. Mi prendo almeno una responsabilità.
    Dentro questi pensieri presento la mia proposta, che m’invita a condividere più che posso invece che a rappresentare.
    Il teatro è una responsabilità.
    Roberto Latini

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