Vocazione, ovvero Del respingimento teatrale

Sguardazzo/recensione di "Vocazione"

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Cosa: Vocazione
Chi: Danio Manfredini
Dove: Buti (PI), Teatro Francesco di Bartolo
Quando: 01/11/2014
Per quanto: 90 minuti

La rassegna Teatri di confine sbarca al Teatro Francesco di Bartolo di Buti con l’atteso Vocazione, ultimo progetto di Danio Manfredini. Il progetto, ideato in un primo momento per il Festival di Santarcangelo, si presenta a Buti nella sua veste definitiva, proseguendo la ricca offerta di repliche in Toscana inaugurata al Teatro Cantiere Florida.

Grande talento poliedrico del teatro italiano degli ultimi trent’anni, Manfredini riflette qui sulla vocazione attoriale, sul rapporto tra teatro e vita e sul cortocircuito che si ha, talvolta, tra la vita dei teatranti e i loro personaggi. Al pubblico viene proposta un’ampia selezione di citazioni sul tema (da Harwood a Čechov, da Fassbinder a Testori). Bene, Manfredini è bravissimo sul palco e le scelte che fa sono pertinenti al tema. E poi? Poi basta.

L’artista passa da un personaggio all’altro, si veste, si spoglia, si riveste in un turbinio di parrucche, maschere e costumi: si diverte Manfredini, lo si vede, nel cambiare così tanti personaggi in poco tempo e la sfida attoriale è indubbiamente superata. Ma qual è, in questa operazione, il ruolo del pubblico?

Manfredini estrania lo spettatore dalla sua riflessione, lo ignora senza fornirgli chiavi di lettura né razionali né emotive. Tradisce così l’essenza stessa del teatro in quanto atto di arroganza: qualcuno sale su un palco e dice «Guardami!». Da una parte, chiede quindi di essere guardato, ma tale sguardo è inutile e, probabilmente, anche annoiato. Non è nemmeno chiaro, in certi frangenti, se Danio Manfredini utilizzi un linguaggio ironico, parodistico o nostalgico. Parla, forse, a chi già lo conosce, ai suoi seguaci che hanno familiarità con la sua ricerca teatrale. Qual è il senso? Il teatro può respingere, se chi è sul palcoscenico dà prova della sua grandezza, può anche disprezzare il pubblico, svelarne la mediocrità e prenderlo come bersaglio (ne è maestro, in questo senso, Antonio Rezza). Qui di grandezza non c’è traccia (ma nemmeno in quel caso sarebbe perdonabile il disinteresse verso il pubblico).

Sfortunatamente, anche i segmenti interessanti e visivamente suggestivi – il celebre monologo di Amleto recitato correndo verso un riflettore o un tip-tap ben giocato – sono neutralizzati dalla spalla Vincenzo Del Prete, attore ligneo che non regge il confronto con il comprimario.

Se, come sostiene il compianto Alfiero Briganti «In teatro esiste un solo crimine: la mediocrità. E una sola aggravante: la pretenziosità», Vocazione merita la condanna più dura. Ma non senza appello, ché il teatro è arte fluida e multiforme e dà spazio a sguardi anche molto diversi.

Danio Manfredini in tram, intento a leggere questa recensione, senza sapere di essere seduto accanto all'Autore.
Danio Manfredini in tram, intento a leggere questa recensione, senza sapere di essere seduto accanto all’Autore.

VERDETTAZZO

Perché: No
Se fosse... un arredo sarebbe... uno specchio

Locandina dello spettacolo



Titolo: Vocazione

ideazione Danio Manfredini
progetto musicale Danio Manfredini, Cristina Pavarotti, Massimo Neri
con Danio Manfredini, Vincenzo del Prete
luci Lucia Manghi, Luigi Biondi
collaborazione ai video Stefano Muti
produzione La Corte Ospitale

Con Vocazione, Danio Manfredini traccia un quadro sulla figura dell’attore teatrale nei diversi stadi che attraversa durante il suo percorso. A partire dal repertorio teatrale dove i personaggi delle opere trattano esplicitamente della figura dell’attore, Manfredini estrae frammenti e li cuce con parole sue, canzoni e spunti autobiografici per costituire la drammaturgia dello spettacolo.

Andrea Balestri
Non è il Pinocchio di Comencini. Apparentemente giovane, studia teatro (non solo) musicale tra Pisa e Roma. Serie tv, pulizie e viaggi in treno occupano il resto della sua vita. Archivia i ricordi in congelatore e si lava i capelli tutti i giorni.