Tutto alla Scala è burla con il Falstaff di Robert Carsen

Sguardazzo/recensione di "Falstaff"

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Cosa: Falstaff
Chi: Giuseppe Verdi, Robert Carse, Daniele Gatti, Nicola Alaimo
Dove: Milano, Teatro alla Scala
Quando: 16/10/2015
Per quanto: 160 minuti

Sono ben lontani i tempi in cui un allestimento al Teatro alla Scala rischiava di imporsi come versione di riferimento, ma tuttora la qualità delle regie che si vedono al Piermarini ha pochi eguali. Se, per i cantanti, il grande nome è legato più alla notorietà che al talento, per i registi valgono meno le logiche di marketing e alla firma prestigiosa corrisponde spesso una visione originale: basta non essere talebani della tradizione per riconoscerlo.

Robert Carsen, allestitore da anni legato all’augusto spazio milanese, ha firmato nel 2013 – anno verdiano – l’allestimento di Falstaff riproposto in questo finale di stagione. Il libretto di Arrigo Boito trae il soggetto da un personaggio scespiriano: il signorotto di Le allegre comari di Windsor – presente anche in Enrico IV – con una passione per il vino e le donne non certo inedita nell’opera lirica. Ci si affeziona a questo buffo furfante, nonostante la tendenza a insidiar fanciulle e scrigni (o almeno: provarci) con la stessa gaia leggerezza. Giuseppe Verdi, alla sua ultima opera, non è mai stato così sorprendentemente brioso e, ci permettiamo, arlecchinesco nel prendere in giro il melodramma italiano fine-ottocentesco (in pratica: sé stesso). Il regista traduce la spassosità del dettato in un allestimento brillante e farsesco: ha addirittura tratti da avanspettacolo, quando il protagonista spara in aria col fucile facendo cadere calcinacci dal soffitto, o quando il povero furfante viene tuffato nel fossato e un grande schizzo rientra dalla finestra.

Falstaff, Verdi-Gatti-Carsen, 2015 (ph: www.teatroallascala.org)Tale vivacità, invece, è meno accentuata nella direzione di Daniele Gatti, al suo ritorno scaligero dopo i successi riscossi in tutto il mondo. Il Maestro ha studiato l’opera fin dagli anni del conservatorio e ne sa sicuramente più di chi scrive, ma, a volte, il ritmo forse troppo cadenzato fa perdere mordente alla partitura verdiana. Sulle voci, accenniamo solo a Marie-Nicole Lemieux, contralto dal registro basso molto ricco, ed Eva Mei, una Alice Ford sorprendente nei passaggi dalle note molto gravi a quelle acute. Nicola Alaimo è un protagonista massiccio e baldanzoso, a proprio agio nella parte e sul palcoscenico, quasi a sottolineare la distanza dal Ford di Massimo Cavalletti, baritono di talento, ma che appare più ingessato e meno disposto al gioco.

Falstaff è risultato della somma tra la componente inglese di Shakespeare e quella italiana della coppia Verdi-Boito: Carsen predilige la prima, optando per un’ambientazione tipicamente british, traslata negli anni ’50. Sir John, nobile decadente sbeffeggiato dai nuovi borghesi arricchiti, viene calato nel conflitto di classe novecentesco tra aristocrazia e middle class emergente: la traslazione temporale è ben gestita dal regista e il risultato talmente valido da oscurare le inevitabili incoerenze.

Falstaff, Verdi-Gatti-Carsen, 2015 (ph: www.teatroallascala.org)Come fu per il suo Don Giovanni – apertura di stagione nel dicembre 2011 –, Carsen fa del protagonista una vittima (quasi) innocente di persecuzioni (quasi) immotivate, solo perché chi gli sta intorno non ha niente di meglio da fare nella vita. Alice e Meg tramano una serie di scherzi (pesanti e di cattivo gusto) a Sir John: ma di quale grave colpa si è mai macchiato il signorotto? Aver cercato di corteggiare entrambe con la medesima lettera d’amore. Ohibò! L’ira vindice di due casalinghe annoiate cade su di lui, lanciato dalla finestra nell’acqua torbida e terrorizzato di notte nel bosco.

Pur se meno accentuata rispetto al sopracitato allestimento mozartiano, anche qui si ritrova una significativa vena metateatrale: sul finale, le luci in sala salgono gradualmente, sino a illuminare completamente la platea sul “Tutto nel mondo è burla”. Non solo gli screzi tra i personaggi, ma è il teatro stesso a essere burla. “Tutti gabbati!” cantano brindando, e sul proscenio tutti i personaggi additano la grande sala dorata ridendo del pubblico. Alla luce (letteralmente) di tale chiosa, acquisiscono un senso anche le scenografie di Paul Steinberg, poco profonde e addossate al boccascena, per evidenziare la prossimità tra la vita e il teatro.

Sul cavallo in scena nel III atto, soprassediamo: non è che vi fosse bisogno di sottolineare che alla Scala ci sono (ancora) i soldi.

Falstaff, Verdi-Gatti-Carsen, 2015 (ph: www.teatroallascala.org)

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... un'edizione di Expo sarebbe... Exposition Universelle et Internationale de Bruxelles 1958

Locandina dello spettacolo



Titolo: Falstaff

commedia lirica in tre atti
musica di Giuseppe Verdi
libretto Arrigo Boito

direttore Daniele Gatti
regia Robert Carsen
scene Paul Steinberg
costumi Brigitte Reiffenstuel
luci Robert Carsen e Peter Van

Sir John Falstaff Nicola Alaimo
Ford Massimo Cavalletti
Fenton Francesco Demuro
Dr. Cajus Carlo Bosi
Bardolfo Patrizio Saudelli
Pistola Giovanni Parodi
Mrs. Alice Ford Eva Mei
Nannetta Eva Liebau
Mrs. Meg Page Laura Polverelli
Mrs. Quickly Marie-Nicole Lemieux

produzione Teatro alla Scala (2013)
in coproduzione con Royal Opera House, Covent Garden, Londra; Canadian Opera Company, Toronto; Metropolitan Opera, New York; Dutch National Opera, Amsterdam


Andrea Balestri
Non è il Pinocchio di Comencini. Apparentemente giovane, studia teatro (non solo) musicale tra Pisa e Roma. Serie tv, pulizie e viaggi in treno occupano il resto della sua vita. Archivia i ricordi in congelatore e si lava i capelli tutti i giorni.