Nelle stanze dello scirocco

Sguardazzo/recensione di "Le sorelle Macaluso"

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Cosa: Le sorelle Macaluso
Chi: Emma Dante, Serena Barone, Elena Borgogni, Italia Carroccio, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi
Dove: Cascina (PI), La Città del Teatro/Politeama
Quando: 13/04/2016
Per quanto: 75 minuti

Vi siete mai affacciati sul mare in un mattino di scirocco? Lo scirocco, vento caldo proveniente da sud-est, fa bruciare gli occhi e altera i contorni, riscalda l’aria in modo insinuante, fastidioso; le temperature salgono improvvisamente e le città diventano fornaci di corpi sudati: le città mediterranee, e Palermo, in particolare. Si dice che la “Palermo bene”, quella del Gattopardo, si rifugiasse, nei giorni di intensa calura, in apposite camere seminterrate e umide, dette “le stanze dello scirocco”. Nella semi-oscurità di questi anfratti sembra collocarsi lo spettacolo di Emma Dante, autrice e regista palermitana di conclamata fama europea; con Le sorelle Macaluso, nell’ambito del progetto europeo Città on stage, la Dante torna mPalermu e la risucchia: lo spettacolo si nutre delle viscere fetenti del ventre del capoluogo siciliano, poi respira a pieni polmoni il profumo del mare.

Le sorelle del titolo sono sette (Serena Barone, Elena Borgogni, Italia Carroccio, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi), il padre, Sandro Maria Campagna, è un “picciuttieddu” piagato dal peso degli anni e della fatica di cento onesti, disumani lavori; la madre, Stephanie Taillandier, è un figura angelico/esotica dall’accento francese. Una delle sorelle ha, a sua volta, un figlio, Davide Celona. Questi i personaggi. Eppure le loro esistenze si incrociano su piani temporali differenti, oppure in un luogo della memoria in cui il tempo è assente.

????????????????????????????????????Una lunga sequenza coreografica mette in moto il delicato ingranaggio scenico: tutti gli attori compongono un corteo funebre, e marciando percorrono i metri del palcoscenico in tutte le direzioni: una processione ancestrale che avanza dal buio dei tempi. Schierati in proscenio, poi, gli attori raccolgono spade e scudi e, rumorosamente, si trasformano in pupi temerari, guerrieri della quotidianità dolente. Non c’è gioia che non lascia trasparire un dolore amaro, il ricordo non è solo spensierato, ricordare apre squarci, lascia sanguinare.
Rimaste sole, le sette donne, splendidamente coordinate nei gesti, prendono a raccontarsi la propria infanzia, la rivivono. È un rito di rigenerazione: l’intero spettacolo è un lungo scongiuro della morte, più che mai presente, e un inno alla vita. Corpi svestiti, corpi vibranti, sudati, corpi impegnati nelle convulsioni della morte. L’occasione che permette l’incontro delle sorelle è la cerimonia funebre della maggiore di loro, Maria. La ragazza, insieme al padre, alla sorellina minore, al nipote aspirante calciatore, è in scena con gli altri personaggi, i quali ricordando, in quella fase di lucidità intermittente che accompagna il decesso di una persona cara, costringono tutti a ripetere episodi di vita vissuta.

La drammaturgia aderisce alle azioni sceniche degli interpreti, tanto da dare l’impressione di essere un montaggio posteriore di creazioni attoriche. La lingua è, di nuovo, nel teatro della Dante, il dialetto: siciliano con un’eccezione, una delle sorella parla pugliese. L’attore, costretto alla precisione del gesto e alla musicalità della voce da estenuanti sessioni di prove, vibra di un senso di libertà. Allora i corpi volteggiano, si toccano, si spengono, sussultano ancora: le ragazzine vengono strattonate dalla corsa di una corriera che si dirige verso il mare, la madre e il padre danzano una coreografia intensa come una notte d’amore, ancora il padre racconta un’ingiustizia sul lavoro di cui sentiamo “il feto”, la puzza. I morti convivono con i vivi, recitando senza fine la propria morte, proprio come avviene nella mente di chi ha perso un congiunto, montaggio pre-logico di immagini, reminiscenze latenti di un corpo universale.

Danza nudo il corpo di Maria nel finale – nudità motivata, necessaria – nudo perché regredito all’infanzia, nudo e inerme come l’uomo di fronte alla morte.

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VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... un vento sarebbe... scirocco

Locandina dello spettacolo



Titolo: Le sorelle Macaluso

testo e regia di Emma Dante
con Serena Barone, Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Italia Carroccio, Davide Celona, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi, Stephanie Taillandier
luci Cristian Zucaro
armature Gaetano Lo Monaco Celano
foto Carmine Maringola
produzione Teatro Stabile di Napoli, Théâtre National (Bruxelles), Festival d’Avignon, Folkteatern (Göteborg)
in collaborazione con Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale
in partenariato con Teatrul National Radu Stanca – Sibiu


Il Teatro Stabile di Napoli, nell’ambito del progetto europeo “Città in Scena – Cities on Stage” torna a produrre una creazione di Emma Dante Le sorelle Macaluso. Nella sua nota, la regista palermitana scrive: "Un controluce impedisce ai nostri occhi di vedere sul fondo. Sul fondo c’è l’oscurità. La scena è vuota. Soltanto ombre abitano questo vuoto finché un corpo, dal cono di buio, viene lanciato verso di noi. L’oscurità espelle una donna. Adulta. Segnata. A lutto. Viene danzando verso di noi. Dal fondo, a poco a poco, appaiono tre, cinque, sette, dieci facce. Sono vivi e morti mescolati insieme. Ma non si capisce chi è vivo e non si capisce chi è morto. Tutti sono a lutto. A lutto eterno. Il piccolo popolo avanza verso di noi con passo sicuro. La donna danzante si unisce al corteo. “Le sorelle Macaluso” sono uno stormo di uccelli che partecipano al proprio funerale e a quello degli altri. Sospesi tra la terra e il cielo. In confusione tra vita e morte. La famiglia è composta da sette sorelle, Gina, Cetty, Maria, Katia, Lia, Pinuccia e Antonella morta qualche anno fa. Durante la cerimonia le sorelle si fermano a ricordare ad evocare a rinfacciare a sognare a piangere e a ridere della loro storia. È il funerale di una di loro. Nel confine tra qua e là, tra ora e mai più, tra è e fu, i morti sono pronti a portarsi via la defunta. Se ne stanno in bilico su una linea sopra cui combattere ancora, alla maniera dei pupi siciliani, con spade e scudi in mano. Al momento, immagino un controluce, abiti scuri e un cammino. Una famiglia in movimento che entra ed esce dal buio. Vedo un giovane padre apparire alla figlia cinquantenne, una moglie avvinghiata al marito in un eterno amplesso, un uomo fallito anche da morto, vedo i sogni rimasti sospesi tra le ombre e la solitudine e vedo gli estinti stare davanti a noi con disinvoltura. Tutto si ispira al piccolo racconto che mi fece una volta un amico. Sua nonna, nel delirio della malattia, una notte chiamò la figlia urlando. La figlia corse al suo letto e la madre le chiese: “in definitiva io sugnu viva o morta?” La figlia rispose: “viva! Sei viva mamma!” E la madre beffarda rispose: see viva! Avi ca sugnu morta e ‘un mi dicìti niente p’un fàrimi scantàri. (sì, viva! Io sono morta da un pezzo e voi non me lo dite per non spaventarmi.)

Chiara Schepis
(non) qualificata fotografa di "scene" con la penna rossa.