Sette, anzi nove domande a

Dario Marconcini e Giovanna Daddi

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Io, che sono Arlecchino, odio il trionfalismo e i proclami degli addetti ai lavori teatrali. Quelli che si beano dei successi per stagioni tre-palle-un-soldo, ma anche quelli che s’intellettualizzano indossando occhiali da sole per-avere-più-carisma-e-sintomatico-mistero. Insomma, per quanto sempliciottobalordo, talvolta ho gusti difficili. Ma pure simpatie. Tra queste, un posto speciale è riservato a Dario MarconciniGiovanna Daddi, coppia d’arte e vita, anime e colonne portanti di quell’impresa ammirevole che è il Teatro di Buti, sia da teatranti (senza andar troppo indietro nel tempo, e lo si potrebbe fare, leggetevi qui sui vari Pinter e Minimacbeth dagli arlecchini Titomanlio, Cecconi e Vazzaz) sia da organizzatori. In trenta e passa anni, sulle tavole del minuto Francesco di Bartolo è passato il meglio del teatro italiano: da Servillo (Toni) a Marco Paolini, da Lombardi-Tiezzi a Claudio Morganti, da Jean-Marie Straub a Emma Dante; la lista potrebbe farsi infinita. Sempre in anticipo su mode o tendenze, con maniacale attenzione al teatro, quello vero, con passione e, ça va sans dire, pochi, pochissimi quattrini.

daddi-marconcini-2Ecco, leggere sul sito dello spazio butese che Piccoli fuochi, tradizionale rassegna ideata da Marconcini, non si farà e che poco o nulla si sa, da Fondazione Toscana Spettacolo, dell’altra kermesse Teatri di Confine, fa venire, prima, da piangere e poi un prurito alle mani, se non fosse che, in quanto Arlecchino, si finirebbe a legnate sul groppone. Il mio.
E dire che qualcuno, dalle segrete stanze fiorentine, aveva pure annunciato repliche (mai tenute: vi sorprendete?) per i nostri: in teatro, come nella vita, le parole le porta via il vento, e le biciclette i livornesi.
Passare una serata con Dario e Giovanna è un privilegio di cui non voglio rendervi partecipi, ipocriti lettori, miei simili e fratelli, ma, poiché sono in buona, vi agevolo tosto l’ormai tradizionale questionazzo arlecchinoso, sostenuto a due voci, intersecate, talvolta in coro, talvolta in dissonanza, con scambi d’occhiate di prossemica tanto pregnante da non potersi tradurre in cronaca scritta.

Innanzitutto, sette, anzi, nove domande. 

Perché gli spettacoli iniziano alle nove di sera?
Dario: (ride) Perché il teatro non è, né dev’essere, un dopolavoro.

Cosa non dovrebbe essere ammesso in teatro?
minimacbeth-3D – I cani, i bimbi…
Giovanna – E i neri… dillo un po’… (ovviamente ridendo) Sarai (e qui vi lasciamo immaginare l’epiteto). Però, non ha tutti i torti: i bambini andrebbero avvicinati al teatro con spettacoli pensati per loro. A Buti lo facciamo.
D – Appunto, visto? I cani e i bimbi…

Che opinione hai del pubblico teatrale?
D – Un’ottima opinione, se applaude ed è contento… Altrimenti diventa pessima.
– Visto? È così…

Meglio una platea straripante abbonati o una cantina di pochi appassionati?
D – Ti dirò… capisco la domanda, ma io preferisco davvero una platea gremita di gente, che sia contenta di venire a teatro, che sia felice di applaudire e che permetta di andare avanti a chi fa questo mestiere.
– Qui siamo davvero d’accordo, allora.

'Minimacbeth', Dario Marconcini (da il tirreno)È possibile fare teatro senza fare spettacolo?
D – Sì, è possibile sì. Anzi: molte volte, quello che cerchiamo, pure noi, di fare, è fare teatro senza, per forza, fare spettacolo
– (ancora ridendo) Ora non ti annodare…
D – No, no, non mi annodo: dico che vogliamo fare teatro ed è possibile praticarlo, senza fare spettacolo.

Che senso ha, per te, la critica teatrale?
D – Ha un senso se riesce, con la presenza e la preparazione, a “completare” la nostra opera drammaturgica. Quella, dal mio punto di vista, dovrebbe essere la funzione della critica. Per farlo, quando si mette a sedere in platea e, soprattutto, quando si mette a scrivere, il critico dovrebbe poter considerare quello che ha visto non come un mero prodotto fatto e finito, ma come qualcosa su cui si possa ancora lavorare, ancora andare avanti. Il teatro non sforna “prodotti”, ma qualcosa di molto più labile, e affascinante.

Che spettatore sei? Cosa dovrebbe “fare” un’opera?
giovanna-daddi-e-dario-marconcini-pinter-beckett-prove-dautore-da-video-01D – Prima di tutto, non farti dormire. Per il resto, sono uno spettatore curioso, molto curioso, e ben disposto verso le cose che vado a vedere, benché, se devo essere sincero, preferisco di gran lunga il cinema. Alla fine, però.
– Sono d’accordo: molto meglio un brutto film di un brutto spettacolo.

Un lavoro a cui hai assistito e che rivedresti anche stasera.
D – Difficile rispondere a questa domanda… D’istinto, ti direi che non vorrei rivedere uno spettacolo cui ho già assistito. Almeno, non dopo poco tempo; se, invece, è trascorso molto, penso di sì.
– Uno spettacolo che rivedrei volentieri? Il primo Carmelo Bene che vidi a Roma… Rimasi incantata. Era l’epoca delle cantine, ovviamente… Adesso devo ripensare cosa fosse: direi che siamo a quarant’anni fa circa. Ecco! Direi Salomè, bellissimo, indimenticabile. Vedemmo anche La cena delle beffe, sempre di Bene, con un giovane Gigi Proietti. Ricordo che, parlando all’incontro sullo spettacolo, Proietti ripeteva “Noi… noi… noi…” e Bene lo gelò: “Tra noi, ci sono ottocento libri che ci separano”. Era, sì, La cena delle beffe.

Il tuo lavoro che vorresti far vedere a tutti. E quello che avresti voluto evitare.
giovanna-daddi-faust-d-marconcini-sito-teatrodibuti-it-6bGiobbe, lo dovevi evitare… (ride ancora)
D – Dici? E a me piaceva… Personalmente, credo che, quando si fa un lavoro, in teatro, lo si debba amare, sempre, proprio per assicurarsi di dare il massimo. Vero è che, quando si sta tanto su una cosa, la capacità critica viene meno, ed è proprio per questo che i critici possono aiutare, e molto, chi fa teatro. In genere, ho sempre amato molto le cose su cui ho lavorato. Vorrei far rivedere spesso il mio lavoro su Faust, il secondo (in tutto ne ho fatti tre), quello che mi è piaciuto di più. Con le spalle al muro, direi quello, il mio secondo Faust.

E adesso… tre risposte a cui formulare la domanda: 

Non è una questione di pura e semplice contrapposizione, quanto, piuttosto, di individuare un’armonia funzionale al contesto dato.
G Ma stai bene e, soprattutto, l’hai capita?

In effetti, la figura di Arlecchino, così densa di sfumature e implicazioni sia teatrali sia antropologiche, esprime alla perfezione la dualità del gesto di guardare ed essere osservati, il rapporto profondo e, talvolta, vischioso, tra lo stare in scena e il gettare lo sguardo a ciò che sta oltre.
G e D
Di che colore hai gli occhi?

Grazie per la domanda. Un nome secco? Emma Dante.
G
– Perché non Giovanna Daddi?
– Qual è quell’attrice che arriva dal profondo Sud per portarci sino al profondo Nord, ma, soprattutto, che a Buti abbiamo messo in cartellone da sempre?
G – Anche questa: ma, nel film (Via Castellana Bandera, del 2013, diretto e interpretato dalla stessa artista, N.d.R.), chi ha pisciato di più?

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l'Arlecchino
È un semplicione balordo, un servitore furfante, sempre allegro. Ma guarda che cosa si nasconde dietro la maschera! Un mago potente, un incantatore, uno stregone. Di più: egli è il rappresentante delle forze infernali.

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