O la scena o la vita

Sguardazzo/recensione di "Quasi una vita"

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Cosa: Quasi una vita
Chi: Dario Marconcini, Giovanna Daddi, Roberto Bacci
Dove: Pontedera (PI), Teatro Era
Quando: 18/04/2018
Per quanto: 70 minuti

Quasi. Non come, simile, alternativa.
Treccani recita «Circa, pressappoco, poco meno che», per un avverbio che abita il campo semantico dell’approssimazione, dell’avvicinamento.
E una vita
Come fosse inquadrabile, la vita, come fosse possibile porvi attorno una cornice, farne un quadro. Come se non fosse abbondanza liquida, tracimante, irriducibile alla descrizione.

Allestimento sottile questo Quasi una vita, alla cui realizzazione concorrono più personalità artistiche, in uno sforzo dai contorni controversi: scrittura di Stefano Geraci, materia prima di Giovanna Daddi e Dario Marconcini, con la presenza mercuriale di Silvia Pasello, Elisa Cuppini, Francesco Puleo e Tazio Torrini. Infine, la regia di Roberto Bacci. Ogni segmento rappresenta, in potenza, un valore, positivo e negativo: accrescimento e, al contempo, rischio d’interferenza, di rumore.
Ogni opera fondata sulla pluralità di codici si confronta con tale paradosso.
La fattispecie è, però, ancor più peculiare: la
vita in questione sarebbe quella, dipanata tra scena e altrove (o viceversa), di Dario e Giovanna, attori, artisti, amanti. Tributo, eppure no: si dice di loro, li si inscena, benché la carne della loro storia, teatrale e sentimentale, rappresenti, ovviamente, la scusa per parlare d’altro. Di noi, di tutti, di nessuno. 

L’ambiente è ocra: sala sgombra, “apparecchiata” a riceverci, con la cauta accoglienza del cast già in parte. Totale è Giovanna: il semplice esserci, di nero fasciata, è bastante a riempir la scena. Diva, divinità, Medea sensuale e potente.
Al suo fianco, Dario, meno ieratico, in abbondante completo grigio: snello, quotidiano.
Si parlano, come sempre, con la sottile complicità delle “loro” coppie pinteriane: divagano tra ricordi balneari, come polverose cartoline rinvenute in soffitta, e dolori, carezzati con delicata intesa. Belli sono: lui smarrisce il peso degli anni, per guadagnare un che d’aguzzo e fanciullo, come certi volti di Andrea Pazienza.

Si elude il narrativo, ed è bene: Cuppini e Puleo, bianchi spiritelli come gli altri, intervengono a sospender la (non) azione. Una porta campeggia, priva di parete, a sinistra: il battente (la parte mobile) chiude e schiude su due “cornici” ad angolo. Presenza magrittiana, ambigua e umoristica: serrandosi, si schiude dall’altra mano, nell’incessante affacciarsi altrove, sia esso il teatro o il susseguirsi di eventi, minuti o fondamentali, a formare una vita.  Quali sono quelli che contano? E cosa conta
La scrittura s’ammanta di tentazioni faustiane e l’approdo metafisico oblitera la biografia encomiastica, benché si rischi l’incaglio nel compiacimento di una forma comunque non risolta, come incagliata tra possibilità accennate e non efficacemente percorse.
Protagonista addiviene Dario, lui il fulcro più che la vita comune dei due, in un gioco che si dilata e addolcisce, s’aggruma e intensifica. Come quando Torrini gli pitta il volto a farne maschera, o gli stampa un bacio sulle labbra. 

L’aderenza (alla scena, al testo, all’urgenza) vacilla, troppo, e con essa il gioco di specchi, di rifrazioni, nel rischio d’una gratuità controproducente. Tutto s’assesta sulle spalle dei due interpreti principali, cullati dall’affetto d’un pubblico che li conosce e li ama. Mancano, però, le scosse, ed è un peccato; come quando Torrini “esce” dal carattere ancillare e “parla a Dario”: non collasso formale, ma infiltrazione d’un altrove non di maniera.
Applausi, comunque, per un tentativo complesso, tutt’altro che banale; specialmente a due grandi artisti che sono pure non meno grandi persone. Non sempre, anzi, è così.

VERDETTAZZO

Perché: Sì, oppure no
Se fosse... un veicolo sarebbe... un'elegante auto d'epoca dalla difettosa tenuta di strada

Locandina dello spettacolo



Titolo: Quasi una vita

Drammaturgia Stefano Geraci, Roberto Bacci
Con Giovanna Daddi, Dario Marconcini, Elisa Cuppini, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Tazio Torrini
Musiche Ares Tavolazzi
Allestimento Sergio Zagaglia, Stefano Franzoni, Fabio Giommarelli
Assistente alla regia Silvia Tufano
Scrittura fisica Elisa Cuppini
Scenografa pittrice Chiara Occhini
Assistente Costumi Chiara Fontanella
Regia, scene e costumi Roberto Bacci
 
Produzione Fondazione Teatro della Toscana
Foto di scena Roberto Palermo

…un sasso, una foglia, una porta nascosta; di un sasso, una foglia, una porta. E di tutti i volti dimenticati. Nudi e soli siamo venuti in esilio. Nel suo oscuro grembo non conoscemmo il volto di nostra madre. Dalla prigione della sua carne siamo giunti all’indescrivibile, indicibile prigione di questa terra. Chi di noi ha conosciuto il fratello? Chi ha guardato nel cuore del padre? Chi non è rimasto per sempre prigioniero? Chi non è per sempre solo e straniero? O immane desolazione, persi nei torridi labirinti, tra le stelle lucenti su questo tizzone esausto e spento, persi. … un sasso, una foglia, una porta nascosta. Dove? Quando? Thomas Wolfe Note di regia Ciò che resta di noi è ciò che gli altri ricordano nel tempo che a loro resta. La domanda che ci portiamo dentro e nello spettacolo è quella che riguarda l’attraversare l’ultima porta che ci resta nascosta oltre la quale ci attende un incerto viaggio nel Chissàdove. È quasi una vita quella che ci è data e, mentre la viviamo, così occupati a rincorrere ciò che resta da essere e da fare, il Teatro può interrogarci sul futuro di ciò che siamo stati. Prendiamo allora la vita di due persone qualsiasi e raccogliamone i ricordi, gli affetti, gli oggetti, i costumi, le parole che hanno detto ed anche amato. Ci specchiamo ed osserviamo, attraverso il destino di altri da noi, il destino del personaggio che portiamo la sera con noi a teatro. Il Chissàdove può diventare un luogo senza tempo e senza spazio, il qui e ora di un attimo della nostra vita in cui, mentre una porta si chiude alle nostre spalle, contemporaneamente la stessa porta si apre davanti a noi verso un luogo sconosciuto.  Sonnambuli, con la speranza di incontrare un IO permanente che continuamente si nasconde alla nostra coscienza e che, in Quasi una vita, raramente abbiamo vissuto. Roberto Bacci Note del drammaturgo Ogni sera un congedo “Se fosse stato cinema, questo spettacolo si sarebbe potuto ascrivere al genere biopic, quella fiction che si fonda su biografie reali, oggi di nuovo in voga e in alcuni casi con esiti molto suggestivi. La preparazione, almeno, è stata analoga. Abbiamo raccolto e registrato i racconti biografici di Dario Marconcini e Giovanna Daddi, attori e amici di lunga data con una intensa storia di teatro e vita in comune lunga quasi sessant’anni.  Il motivo di questa scelta non è stato però quella di raccontare le loro vite, ma di attraversarle insieme.  Avevamo alcune domande con noi.  Cosa resta delle nostre vite quando ci volgiamo indietro e ci chiediamo: cosa abbiamo combinato? E il teatro ci concede un tempo per intravedere un disegno nei passi che abbiamo compiuto e che casomai abbiamo calpestato maldestramente senza neanche accorgersene?  Forse la parola più adatta per descrivere questo lavoro è «congedo», così come si usa nella poesia in forma di canzone: quei versi finali in cui l’autore rivolgendosi a se stesso chiede ai lettori di farsi carico dell’ombra del poeta, attraverso la vita dei suoi versi. Lo spettacolo teatrale però non può fissare per sempre il momento del commiato. La sua virtù è altrove: creare una forma fatta apposta per sparire, ogni sera, di fronte agli spettatori. Se va bene, saranno loro a far viaggiare quel che resta di una esistenza nella loro memoria, e se un disegno esisteva, saranno gli spettatori a scoprirlo perché avrà provocato un’eco, una assenza, un’intima complicità con le loro vite.  Le scene di Quasi una vita raccolgono e compongono gesti e parole dispersi in una storia d’amore, nel presentarsi della vecchiaia, nell’incerto confine che separa la malattia dalla salute, in abitudini e memorie teatrali che scavano i corpi ma che illuminano il passare del tempo con l’intensità di chi ancora ha il coraggio e l’incoscienza di voler debuttare nella vita.  Quando raccoglievamo i racconti che avrebbero fornito le tracce dello spettacolo e del compito degli attori che li avrebbero accompagnati sulla scena, Dario e Giovanna hanno chiesto a noi, intrufolati nelle loro vite mentre con generosa cautela ce le affidavano, se molte storie o storielle in cui vita e teatro erano inestricabilmente impastate fossero superflue o addirittura ridicole.  Forse sì. Ma forse il teatro è sempre ad un passo dal ridicolo. Perché la dedizione di una vita non sembra valerne la pena, perché pretende di muovere ombre troppo più grandi delle mani che ha a disposizione, perché agisce «come se» potesse trasformare la realtà: fino a quando può capitare che, per vie impreviste, ci commuove perché per un attimo, in un fuggevole frammento, è arrivato alla verità.” Stefano Geraci

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.