Una domenica (quasi) buona

Sguardazzo/recensione di "La mamma sta tornando povero orfanello"

-

Cosa: La mamma sta tornando povero orfanello
Chi: Emanuele Carucci Viterbi, Giovanna Daddi, Dario Marconcini, Viviana Marino, Stefano Geraci

Dove: Buti (PI), Teatro Francesco di Bartolo
Quando: 11/11/2019
Per quanto: 60 minuti

«La mamma sta tornando, mio povero orfanello, non si sa come o quando, col sole o con l’ombrello…»

La ninnananna dolcemente intonata da Viviana Marino, lungo abito di velluto scuro e chitarra, riempie il piccolo teatro di Buti e introduce l’ultimo lavoro di Dario Marconcini e Stefano Geraci.
Il dramaturg affida a Marconcini, Giovanna Daddi ed Emanuele Carucci Viterbi il testo scritto nel 1974 dal drammaturgo francese di origine ebraica Jean-Claude Grumberg, nella traduzione di Giacoma Limentani. Un libricino minuto e prezioso, in Italia non troppo conosciuto e ancor meno rappresentato, che ben si confà alla visione che Marconcini ha per Miniature, stagione forse non ricca di titoli ma imperterrita e votata alla ricerca e alla novità: «è come se da affreschi e grandi tele ci fossimo raccolti su noi stessi e fossimo diventati dei miniaturisti».

Un racconto onirico dove immaginazione e ricordi, speranze e dolore, si sovrappongono e intrecciano sottili e tenaci legami.

Marconcini, il tono cocciuto di un eterno bambino ormai sessantaduenne, esprime un desiderio: vuole passare una domenica con la sua mamma, ma una domenica di quelle buone, in cui la mamma è di buon umore e buono è il pranzo preso in rosticceria. Inaspettatamente, è proprio Dio a rispondere e assecondare le sue parole, negli scuri abiti di un accigliato e severo Carucci Viterbi.  

La mise en scène è solo apparentemente statica. Nessuno corre o si dimena o grida, anzi: mentre Daddi-madre non scenderà mai dalla sua sedia a dondolo, Marconcini e Carucci Viterbi si muoveranno senza fretta, parleranno con i piedi ben saldi e rivolti verso la platea; tuttavia, la molteplicità dei piani narrativi e l’irruenza di Marino (la cantante), ora con la sola voce ora danzando con Marconcini, a infrangere i quadri vagamente caravaggeschi che si avvicendano sul palco, contribuiscono a manifestare l’intrinseco dinamismo e la complessità dell’opera.  Saranno i lievi cambi d’abito di Carucci Viterbi, prima nelle vesti di Dio, poi di anestesista, poi di direttore della casa di riposo e infine di padre, a disegnare, seppur con tratto lieve, i confini tra le diverse dimensioni. L’hic et nunc, Marconcini che faticosamente si scuote dall’anestesia di un intervento, e le surreali visioni con cui interagisce, dai dialoghi con Dio, la ricerca nei ricordi e nell’immaginazione della giusta domenica, alle discussioni con l’invadente direttore della casa di riposo che ospita la madre e, infine, al toccante e pacificatore dialogo con il padre mai conosciuto.

Un autore, un testo, uno spettacolo che sembrerebbero tradurre in pratica la leggerezza tratteggiata da Italo Calvino nelle sue Lezioni americane nel 1988. L’orrore dell’Olocausto, presente tanto nell’opera teatrale quanto nel passato di Grumberg (il padre, sarto ebreo, morì in un campo di sterminio) non è mai un clamore scomposto ma affiora, velenoso, negli sguardi, sottinteso alle parole, nelle ansie e nella solitudine, nella ripetitiva domanda del figlio alla madre – prima, ma com’erano le cose prima che tutto fosse contaminato da questo mostruoso ricordo.  L’ora scarsa di messinscena si conclude con un intimo e patetico dialogo padre-figlio. L’uomo, petto nudo e volto speranzoso, chiede al discendente se il sacrificio della sua generazione sia servito, se nel mondo siano cessate le discriminazioni, i nazionalismi, se gli uomini ora siano liberi. Marconcini risponde di sì. Qualcuno tra il pubblico ride, ma non c’è comicità, solo l’amara ironia di chi mette in guardia un mondo folle.

 

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... un dolcetto sarebbe... quello con cui facevi merenda da bambino, ma a cui è stata cambiata la ricetta

Locandina dello spettacolo



Titolo: La mamma sta tornando povero orfanello

di Jean Claude Grunberg

con Emanuele Carucci Viterbi, Giovanna Daddi, Dario Marconcini, Viviana Marino
traduzione Giacoma Limentani 
illuminazione e scene Riccardo Gargiulo con la collaborazione di Maria Cristina Fresia
regia Dario Marconcini con la collaborazione di Stefano Geraci

produzione Associazione Teatro Buti


Un bambino di 62 anni chiama sua madre, vorrebbe tanto che lo prendesse per mano e trascorressero insieme una domenica felice. Delle voci gli rispondono, dei personaggi gli appaiono: la madre con i suoi rimproveri, un Dio che può far ben poco, un anestesista inquietante, un invadente direttore di una casa di riposo e, infine, il padre che non ha mai conosciuto e che gli chiede come vanno ora le cose nel mondo, dopo il nazionalismo, la caccia ai diversi, i campi di concentramento Grunberg e' autore tragico della piu' nobile tradizione ebraica dove la memoria e l'ironia si confondono senza derisioni e esagerazioni. E' un autore che pur portando su di se' i segni della discriminazione subita da bambino ,della solitudine e del dolore (suo padre ,sarto ebreo, mori' in un campo di sterminio) nei suoi scritti adotta uno stile delicato dove il passato e'come rimosso, mai citato, ma che inconsapevolmente, dalle domande, dalle ansie, dalle nenie, dai ricordi, riaffiora tenero e spietato pur ovattato  e nascosto da un sorriso amaro.

Elena Modena
Colleziona ipotesi su cosa sia l'informatica umanistica.