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    ARCHIVIO SPETTACOLI

    YORICK Un Amleto dal sottosuolo, S. Perinelli (2018)

    Titolo: YORICK Un Amleto dal sottosuolo

    Uno spettacolo di Leviedelfool 
    Con Simone Perinelli
    Aiuto regia e organizzazione Isabella Rotolo
    Musiche originali Massimiliano Setti
    Musiche al violoncello Luca Tilli
    disegno luci e scene Fabio Giommarelli
    Collaborazione artistica Roberta Nicolai
    Costumi Labàrt Design
    Foto di scena e progetto grafico Manuela Giusto
    Grafica e illustrazioni Federico Bassi
    Drammaturgia e regia Simone Perinelli
    Produzione Fondazione Teatro della Toscana, Gli Scarti, Leviedelfool

    In prima nazionale YORICK Un Amleto dal sottosuolo, uno spettacolo di e con Simone Perinelli.
    C’è una linea che divide il cervello in due emisferi. Una linea che separa il bene dal male, il sano dal malato, ciò che è consentito dire e ciò che è meglio tacere.
    C’è una linea che separa i vivi dai morti.
    Yorick, il Fool per eccellenza, il buffone corte di re Amleto, è morto e le sue parole non ci sono pervenute se non sotto forma di una sfida: immaginarle.

    C’è una linea che divide il cervello in due emisferi. Una linea che separa il bene dal male, il sano dal malato, ciò che è consentito dire e ciò che è meglio tacere.
    C’è una linea che è confine e divide le onde del mare: una linea che è frontiera.
    C’è una linea che separa il presente dal ricordo e c’è un confine in ognuno di noi che separa l’abisso dell’irrazionale dalle fortezze costruite dalla ragione.
    C’è una linea che separa i vivi dai morti.
    Amleto, atto V scena I. Un cimitero qualsiasi in Danimarca. Scavando la fossa per Ofelia viene ritrovato il teschio che un tempo fu Yorick, il buffone di corte di re Amleto.
    Svegliato dal “lungo sonno”, interpellato dal dramma, Yorick assiste dal sottosuolo allo spettacolo che si sta svolgendo proprio sopra di lui e intanto ci racconta il sottosuolo, il non visibile, ciò che si nasconde alla ragione umana, ciò che di solito riemerge nei sogni.
    Il sottosuolo di Yorick è uno spazio abitato dall’immaginazione, da un pensiero che è obliquo più che retto, da quei poeti definiti pazzi dall’altra versione dei fatti.
    Il sottosuolo si nutre dello scorrere eterno del dramma in superficie.
    Non è più il luogo della morte, ma quello della follia, dello sguardo sull’abisso.
    C’è una linea.
    Il tempo passa e i significati aldilà delle linee cambiano: quello che per un greco antico era un “invasato dal dio”, per un medievale un “posseduto dal demonio”, per la scienza psichiatrica diventa un “malato”.
    Il tempo passa e i matti che una volta venivano allontanati via mare e affidati all’acqua, vengono rinchiusi. Il mare, metafora dell’instabile e dell’inquietante, diviene pozzanghera della terra e le sue onde divise in acque territoriali per delimitare anche sull’instabile le proprietà dell’uomo. L’inconscio, eterna creazione di forme, diviene landa deserta da conquistare e civilizzare e la follia, figura cosmica, trasformata in difetto della ragione.
    Così in questo orizzonte reso piatto e arido dalla pscicoanalisi e dalla psichiatria con il loro vano tentativo di codificare l’anima attraverso un balbettìo di schemi, sintomi ed elenchi, ci sono ancora poche imbarcazioni che hanno l’ardire di salpare oltrepassando confini come se questi non esistessero realmente.
    Sono matti, poeti o semplicemente immigrati clandestini.
    Sono navi che trasportano anime pericolose perché a comandarle è una voce interiore che esce da un altoparlante di bordo. La voce di un teschio che si dice che un tempo fosse in grado di farci vedere dentro a quel fondo inesplorato e capace di scherzare su tutto, persino sulla morte.

    Afferma Simone Perinelli: “ “La scomparsa”, “la dipartita”, “si è spento”, “ci ha lasciato”, “è mancato all’affetto dei suoi cari”, “i parenti piangono”, fino ai trapezismi di “è tornato alla pace del Signore”, “è terminata la giornata terrena” e così via. La parola morte ad indicare ciò che veramente è successo, non c’è mai. Ecco un esempio di come il linguaggio può aiutarci a scacciare i concetti che vogliamo tenere lontani o addirittura scomunicare. Dovendo esprimere l’inesprimibile, la morte non ha parole, e perciò ne usa in gran quantità nel tentativo disperato di dare espressione a ciò che sfugge alla logica, al buonsenso, all’ordine del discorso che, pur essendo per sua natura tragicamente episodico, finge di essere completo. Si va da una frase all’altra nel tentativo di catturare l’evento, si ricorre persino al silenzio per dare all’evento maggiore intensità. Il linguaggio si rivela così convenzione, strumento corruttibile nelle nostre mani e lungi dall’essere il mezzo più efficace qualora l’obiettivo fosse la vera e pura comunicazione.
    Questo lo sanno bene i buffoni, funamboli del senso e della parola, tanto che il loro dire il vero non è poi così necessariamente essenziale, anzi, si alterna indifferentemente a espressioni di stupidità, pazzia o bizzaria e per un attimo, solo per quell’attimo in cui parla il “matto”, il sasso diviene più prezioso del diamante più puro. Il vento del Fool sparpaglia oggetti e significati, eppure nella confusione che ingenera lascia intravedere stralci di quell’infinito che si contrappone alla nostra possibilità di comprenderlo.
    Pronunciata da un matto, la parola assertiva diventa già da subito una parola immaginaria e viene sospeso il suo riferimento al mondo e rende il Fool la possibilità di uno sguardo da un altrove dagli altri non pensato, uno sguardo obliquo che, solo modificando l’orientamento del mondo potrebbe divenire dritto esso stesso.
    Yorick, il Fool, il buffone è morto.
    Questa figura manca totalmente nell’Amleto; manca come presenza: ma è presente come assenza: “Ahi, povero Yorick. l’ho conosciuto, Orazio, un uomo di un brio inesauribile, d’una fantasia senza pari. m’ha portato in spalla mille volte, e adesso….”
    Ecco dunque che le parole del buffone per eccellenza, talmente folle da mostrarsi al mondo sotto le spoglie di un teschio, non ci sono pervenute se non sotto forma di una sfida: immaginarle.

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