A lezione di regia da Robert Carsen

Sguardazzo/recensione di "The beggar's opera"

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Cosa: The beggar's opera
Chi: John Gay, Johann Cristoph Pepusch, Robert Carsen, Ian Burton, Les Arts Florissants
Dove: Pisa, Teatro Verdi
Quando: 20/10/2018
Per quanto: 100 minuti

La stagione lirica del Verdi pisano si apre con un appuntamento d’eccezione: The beggar’s opera nella produzione internazionale firmata da Robert Carsen, regista attivo nei principali teatri del mondo (anche su questi schermi abbiamo dato conto del suo Falstaff scaligero). L’eccezionalità, tuttavia, non è data soltanto dal nome pesante, ma pure dal titolo scelto, che non è esattamente quello che ci si aspetterebbe al debutto di una stagione lirica in un teatro di tradizione. The beggar’s opera è stata composta nel 1728 da John Gay e Johann Cristoph Pepusch come reazione allo strapotere dell’opera italiana, le cui caratteristiche sono state sempre recepite in modo peculiare in Inghilterra. In questo caso, Gay e Pepusch portano avanti un’idea di teatro musicale radicalmente diversa: attingendo dal repertorio folk britannico, creano una storia intorno a canzoni già esistenti (come Mamma mia! o Singing in the Rain). Questi momenti lirici, spesso di stampo paremiografico, evitano anche solo il rapporto oppositivo con la coeva opera italiana (salvo qualche accenno parodico), cercando di creare qualcosa di diverso. In questa sorta di protomusical i brani si alternano alla recitazione, delineando una trama (embrione della più nota L’opera da tre soldi) che si snoda nel mondo del malaffare: gang, faccendieri, prostitute, ladruncoli. Il protagonista (Macheath/Benjamin Purkiss), conteso tra più donne a cui ha promesso fedeltà, rischia di essere impiccato sennonché, nel finale, tutti i malviventi diventano membri del governo. ça va sans dire.

Quella che vediamo sul palco del Verdi è, però, un’operazione ancor più peculiare. Ian Burton, con lo stesso Carsen, ha scritto una nuova versione della ballad opera, attualizzando le parti recitate, con tutti i riferimenti del caso (alla Brexit, a Theresa May, al Royal Wedding). Tutto in inglese, con accento fortemente cockney, da una compagnia del West End per cui il canto (non impostato come un melomane si aspetterebbe) è solo una delle abilità, non prioritaria rispetto al ballo o alla recitazione. Lo spettacolo, quasi due ore senza intervallo, si svolge in ambiente unico apparentemente semplice, ma versatile e sapientemente sfruttato dalla regia: James Brandily ha ideato una muraglia di scatoloni parallela al proscenio, con diverse possibilità di apertura e trasformazione; altre scatole di cartone diventeranno ora piattaforma, ora bancone, ora scrivania.

La sapienza di Carsen è evidente a partire dal modo in cui costruisce lo spazio, utilizzando gradualmente le possibilità offerte dalla parete e stabilendo convenzioni semantiche con lo spettatore. Al di là della sede in cui lo vediamo (ha debuttato a Spoleto e avrà una tournée internazionale), lo spettacolo è molto audace e, per certi versi, prende di petto il pubblico: a sipario ancora aperto suona un allarme, le luci si spengono improvvisamente e una dozzina di attori inizia a correre in platea, sale sul palco e balla in stile break-dance. Altri sopraggiungono (i costumi di Petra Reinhardt li rendono tutti moderni mendicanti), poi si separano, tirano fuori dalle borse strumenti settecenteschi, si mettono sulla sinistra e iniziano a suonare. Carsen gioca sul contrasto tra l’anima metropolitana della componente visuale e quella barocca della parte sonora: «Let’s get the party started!» e inizia un’aria suonata da clavicembalo e arciliuto. Le musiche sono affidate a Les Arts Florissants, una delle formazioni più autorevoli di musica barocca: ciononostante, non c’è paura di sporcare un’esecuzione, pur curata e filologicamente corretta, tanto che spesso gli attori battono mani e piedi nelle loro coreografie.

Carsen impartisce così una vera lezione del senso della regia contemporanea: troppo spesso, nelle regie tradizionali ci si appoggia all’opera con intento mimetico, quasi vigliacco; qui, invece, il regista prende il testo, si sporca le mani, si assume responsabilità e lo rende prodotto vivo e pulsante, con rispetto, e impreziosito da un’esecuzione curatissima. Il teatro, pur pieno di abbonati abituati a tutt’altro, è caldo, reattivo durante la recita: coglie la sincerità che, unità a una grande maestria, garantisce un successo entusiasta.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... uno sport sarebbe... crossfit

Locandina dello spettacolo



Titolo: The beggar's opera

ballad opera di John Gay e Johann Christoph Pepusch
nuova versione di Ian Burton e Robert Carsen
regia Robert Carsen
ideazione musicale William Christie

Mr. Peachum Robert Burt
Mrs. Peachum / Diana Trapes Beverley Klein
Polly Peachum Kate Batter
Macheath Benjamin Purkiss
Lockit Kraig Thornber
Lucy Lockit Olivia Brereton
Jenny Diver Emma Kate Nelson
Filch / Manuel Sean Lopeman
Matt Gavin Wilkinson 
Jack / Prison guard Taite-Elliot Drew
Robin Wayne Fitzsimmons
Harry Dominic Owen
Molly Natasha Leaver
Betty Emily Dunn
Suky Louise Dalton
Dolly Jocelyn Prah 

conduzione musicale e clavicembalo Marie van Rhijn
con i musicisti dell’ensemble Les Arts Florissants
ricerche musicali Anna Besson e Sébastien Marq
edizione musicale Pascal Duc (Les Arts Florissants)

scene James Brandily
costumi Petra Reinhardt
coreografia Rebecca Howell
luci Robert Carsen e Peter van Praet
drammaturgia Ian Burton
collaboratore alla messa in scena Christophe Gayral
assistente alla messa in scena Stéphane Ghislain Roussel
trucco e parrucche Marie Bureau du Colombier
sound design Léonard Françon
responsabile casting David Grindrod CDG
sovratitoli Richard Neel
stagista costumista Jana Höreth
stagista scenografo Ava Rastegar

produzione C.I.C.T. -Théâtre des Bouffes du Nord
coproduzione Les Arts Florissants con il sostegno di CA-CIB, Angers Nantes Opéra, Opéra de Rennes, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Opéra Royal / Château de Versailles Spectacles, Grand Théâtre de Genève, Théâtre de Caen, Edinburgh International Festival, Festival di Spoleto, Centre Lyrique Clermont-Auvergne, Opéra Royal de Wallonie-Liège, Opéra de Reims / La Comédie de Reims CDN, Teatro Coccia di Novara, Teatro Verdi di Pisa, Attiki cultural Society, Cercle des partenaires des Bouffes du Nord
con il generoso supporto di KT Wong Fondation
costruzione scene Angers Nantes Opéra


Dopo i successi al Théâtre des Bouffes du Nord, attesa ora in Italia al Festival dei due Mondi di Spoleto dove è in cartellone dal 6 luglio, ecco anche a Pisa - titolo inaugurale della Stagione - la Beggar’s Opera firmata dal grandissimo regista canadese Robert Carsen. Scritta da John Gay nel 1728, e considerata la prima commedia musicale della storia, la Beggar’s Opera è un racconto fortemente satirico ambientato tra ladri, protettori e prostitute di Londra. L’opera riscosse grande successo fin dalla sua prima rappresentazione nel 1728, e da allora è stata oggetto di innumerevoli adattamenti teatrali, musicali e cinematografici. Nell’interpretare questo racconto che, in modo non meno efficace de I Miserabili, tratta di avidità capitalista e disuguaglianza sociale, questa produzione, diretta da Robert Carsen, diviene l’occasione per riscoprire il testo satirico di John Gay e la talentuosa capacità d’improvvisazione dei musicisti di Les Arts Florissants in grado di far rivivere la partitura musicale a ogni rappresentazione, imprimendo il proprio stile.

Andrea Balestri
Non è il Pinocchio di Comencini. Apparentemente giovane, studia teatro (non solo) musicale tra Pisa e Roma. Serie tv, pulizie e viaggi in treno occupano il resto della sua vita. Archivia i ricordi in congelatore e si lava i capelli tutti i giorni.