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Eppur ci (com)muove, il Santo Genet della Fortezza

Sguardazzo/recensione di "Santo Genet commediante e martire"

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Cosa: Santo Genet commediante e martire
Chi: Armando Punzo e i detenuti-attori della Compagnia della Fortezza
Dove: Pisa, Teatro Verdi
Quando: 09/11/2014
Per quanto: 100 minuti

Mettiamolo subito in chiaro, per non sembrare troppo ingenui: la formula strappalacrime di Armando Punzo la conosciamo. Conosciamo i suoi trucchi, sempre gli stessi, e il suo stile carico, sovrabbondante e amante del frammento. Eppure non siamo immuni al suo fascino, ci lasciamo trasportare nel suo mondo caotico e non riusciamo a sottrarci al suo gioco.

Entriamo nel teatro per assistere a Santo Genet commediante e martire e siamo ancora vigili: non bastano gli attori che già si aggirano nel foyer né le due file di marinai statuari che accompagnano l’ingresso in sala. Siamo più furbi di così. La platea è in penombra, piena di fumo, e la musica onirica sembra un richiamo di sirene. No, siamo ancora forti. Inizia lo spettacolo e, gradualmente, il nostro cinismo evapora in quel fumo, totalmente alla mercé del sogno. Punzo lo sa, ci guarda con la sua sensuale ambiguità femminea, e ne approfitta. Poco dopo la metà dello spettacolo non ha ritegno e parte il colpo basso: inizia un valzer, gli attori-detenuti e i marinai scendono in platea e, in pochi secondi, in ogni spazio praticabile c’è qualcuno che danza. Come si fa a restare indifferenti? Noi ci abbiamo provato, eravamo anche preparati, eppure in quel momento non riusciamo a non abbandonarci in quel turbine di emozioni perfettamente orchestrato. Resta solo, poco dopo, la frustrazione nel caso in cui nessuno ci inviti a ballare.

Punzo riesce a gestire bene la delicata evasione dal contesto scenico del carcere a quello più tradizionale del Teatro Verdi di Pisa. Se, in carcere, lo spazio principale era il corridoio di velluto rosso – stretto, soffocante, quasi uterino – su cui si aprivano le camere del bordello in cui gli spettatori si muovevano sparsi, qui tutto si svolge sul palcoscenico e nel corridoio della platea, con gli spettatori comodamente seduti nelle proprie poltroncine. Il regista della Compagnia della Fortezza trova alcuni espedienti originali per rendere quasi intatto il carattere avvolgente del lavoro. Il più evidente è il collegamento con la platea, attraverso una scala bianca, larga e centrale: ben lontana da quelle anonime scalette che vengono usate sempre più spesso per una banale – quanto inutile – rottura della quarta parete. Lo spazio dell’azione inizia dal foyer e gli spettatori ne sono continuamente immersi. Un altro stratagemma, assai più raffinato, riesce a sfumare il confine dell’arco scenico: la luce.
La scrittura scenica, infatti, controlla pure l’illuminazione di sala, resa uniforme a quella sul palco. Ne nascono giochi e combinazioni interessanti e, con questo dettaglio, Punzo fa ciò che gli riesce meglio: non rivoluzionare un linguaggio, ma inventarne uno proprio, di cui è lui stesso a dettare le regole.

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando incontra la Compagnia della Fortezza dopo lo spettacolo al Teatro Verdi
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando incontra la Compagnia della Fortezza dopo lo spettacolo al Teatro Verdi

In platea, nella replica domenicale, è seduto il ministro della Giustizia. Anche la sua presenza aiuta a ricreare l’atmosfera originaria: gli uomini della scorta, attenti a scrutare il pubblico, non fanno sentire la mancanza dei secondini del carcere volterrano. Povero ministro Orlando! Chissà come dev’essersi annoiato, vivendo quello spettacolo come una recita scolastica… Dopo, in un colloquio con la compagnia, parla di «esperienza da esportare». Peccato che non abbia capito un tratto fondamentale dell’opera di Punzo e del suo lavoro in carcere: il suo teatro è bello per sé e in sé, non si nasconde dietro l’etichetta dell’impegno civile – per quanto i meriti sul piano del recupero siano innegabili e importanti. Il suo non è un tampone sull’inefficenza del sistema penitenziario: è teatro.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... una canzone sarebbe... "Nella mia ora di libertà" di Fabrizio De André

Locandina dello spettacolo



Titolo: Santo Genet commediante e martire

ispirato all’opera di Jean Genet
drammaturgia e regia Armando Punzo
con Armando Punzo e i detenuti-attori della Compagnia della Fortezza
musiche originali eseguite dal vivo e sound design Andrea Salvadori
scene Alessandro Marzetti, Silvia Bertoni, Armando Punzo
costumi Emanuela Dall’Aglio
movimenti Pascale Piscina
aiuto regia Laura Cleri
produzione Compagnia della Fortezza
VolterraTeatro | Carte Blanche Centro Nazionale Teatro e Carcere | Tieffe Teatro Menotti


In attivo da oltre 25 anni, più volte premio UBU: la Compagnia della Fortezza diretta da Armando Punzo ha segnato di sé il nostro panorama teatrale. Ora, dopo il primo studio presentato allo scorso Festival VolterraTeatro, la Compagnia continua ad attraversare l'opera di Genet con uno spettacolo compiuto, spingendosi ancora di più in direzione di una travolgente vitalità, da raccontare e trasmettere al pubblico attraverso linguaggi rivoluzionari. Aprire la nostra Stagione con questo spettacolo ci pare il giusto riconoscimento alla Compagnia che, proprio nel nostro Teatro, nel dicembre 1993, con “Marat-Sade”, uscì per la prima volta fuori dal carcere. Il titolo di questo spettacolo è tratto dal saggio che Jean Paul Sartre dedicò all'amico Jean Genet nel 1952 e che contribuì a far nascere il mito contraddittorio e ambiguo dell'eccentrico scrittore francese. Punzo fa rivivere il santo genet e le sue aventure da vagabondo e avventuriero tra carcere, crimini, passioni politiche e slanci erotici attraverso i corpi e le voci dei detenuti attori della Compagnia della Fortezza, arrivando ad una voluta confusione fra realtà e finzione, fra biografia e autobiografia. Il risultato è un poetico e colorato omaggio al'artista, creato da uomini che come lui vivono sul filo dell'ambiguità perché hanno trasformato la dura realtà del carcere in un luogo di bellezza e arte. Gli attori diventano così sotto i nostri occhi la vera incarnazione del messaggio dell'opera di genet: "la bruttezza è bellezza in riposo".

Andrea Balestri
Non è il Pinocchio di Comencini. Apparentemente giovane, studia teatro (non solo) musicale tra Pisa e Roma. Serie tv, pulizie e viaggi in treno occupano il resto della sua vita. Archivia i ricordi in congelatore e si lava i capelli tutti i giorni.