ARCHIVIO SPETTACOLI

    Alla meta, Bernhard-Pagliaro (2013)

    Titolo: Alla meta

    di Thomas Bernhard
    traduzione Eugenio Bernardi
    regia Walter Pagliaro
    scene Sebastiana Di Gesu
    musiche a cura di Ilario Grieco
    con Micaela Esdra e altri attori in via di definizione
    produzione Associazione Culturale Gianni Santuccio – Roma

    C’è un’aria di partenza all’inizio di Alla meta: una partenza per la villeggiatura. Valigie, bauli e una quantità incredibile di abiti, caratterizzano una vigilia spasmodica e trepidante di attese, in quelle ore febbrili che precedono la partenza sospirata e agognata per un periodo di vacanze al mare. Una madre e sua figlia si accingono a lasciare la casa dove abitano, in una città olandese, per recarsi in treno a Katwijk, una località balneare nel sud dell’Olanda. Questo rito sistematico e maniacale si ripete identico da tanti anni, ma le loro abitudini sono ora scosse da una novità: non partiranno più sole perché per qualche giorno saranno accompagnate da un ospite imprevisto, uno scrittore di teatro che le due donne hanno conosciuto in occasione del debutto della sua ultima pièce, Si salvi chi può, accolta da un grande successo. Questa è la situazione, abbastanza normale, su cui Bernhard costruisce la sua formidabile commedia dell’anormalità. Prima che lo scrittore di teatro arrivi, intanto, scopriamo molte cose. Le due donne vivono, in realtà, un ambiguo rapporto familiare. La madre discende da un’antica famiglia circense che ‘batteva’ la provincia olandese, guidata da un nonno-pagliaccio, di cui lei ancora conserva come una reliquia un vecchio baule di giunco e una variopinta coperta per cavalli. Un giorno, questa donna aveva incontrato e sposato un ricco industriale, poi da lei progressivamente irretito, da cui aveva avuto due figli: uno dal volto prematuramente senile, morto molto presto, l’altra vagamente ritardata, con cui vive ancora oggi dopo la morte del marito. Questa famiglia sembra dunque avere tutte le caratteristiche di singolarità e anormalità tipiche di molte dinastie circensi, in cui l’irregolarità, forse anche la mostruosità, diventano naturalmente qualità spettacolari. (…) Nella seconda parte della commedia, l’azione si sposta in una casa al mare, assai singolare per la sua architettura. Noi abbiamo immaginato una forma circolare molto cara a Bernhard: una torre, un recinto, un cerchio simbolico? Qualcosa che rimandi a un’idea di circo-mondo? Pian piano le istanze e la poetica dello scrittore di teatro vengono risucchiate dall’energia della madre: lo spericolato ‘spettacolo della parola’ azzera gli intervalli della riflessione e del pensiero. L’arte del dialogo viene cancellata: l’approdo finale sembra essere l’inesauribile performance di un saltimbanco della parola; come se la distruzione del teatro borghese, perseguita da Bernhard, fosse innanzi tutto cancellazione del dramatis personale. “Io sono tanti personaggi”, dice a un certo punto la madre. E allora non potrebbe essere quella Meta tanto agognata ‘l’esibizione assoluta’? ‘L’essenza’ stessa del teatro? Uno scricciolo di attore riassorbe in sé, condensa in sé, lo spazio, i movimenti, i suoni, le parole, le maschere. Tutto il senso del teatro sembra essere in quel piccolo corpo, collocato al centro del circo-mondo, come una miccia da far esplodere contro ‘il palazzo reale’. E se, invece, l’appiglio per orientarsi in questo testo fosse quella battuta che la madre dice nel primo tempo: “…perché tutto è sincero anche la menzogna è sincera noi diciamo siamo sinceri e stiamo mentendo noi mentiamo e stiamo dicendo la verità”. Qual è la verità di questi personaggi: quella del primo o quella del secondo tempo? O nessuna delle due? In questo caso ‘l’artificio’ di Bernhard sarebbe il ribaltamento che l’autore organizza per ottenere il ‘perturbamento’ del pubblico? Oppure il senso della sua commedia è nascosto in quei quattro versi di Pascal, collocati quasi come un sottotitolo, in cui le miserie della vita sono poste in relazione al divertimento che se ne può ricavare? E se la chiave della pièce fosse invece celata nel ‘baule di giunco’, relitto di un passato di saltimbanchi, artisti puri e assoluti che si contrappongono ad attori e drammaturghi di regime, pieni di slogan e luoghi comuni, estranei al palpito doloroso della vita?“.
    (Walter Pagliaro)

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