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    ARCHIVIO SPETTACOLI

    Amleto, M. Sinisi (2014)

    Titolo: Amleto
    Regia: Michele Sinisi

    di e con Michele Sinisi
    collaborazione alla scrittura scenica Michele Santeramo
    assistenza Marcella Nocea
    costume Luigi Spezzacatene
    cura del progetto Antonella Papeo
    coproduzione Festival Castel dei mondi di Andria
    sostegno alla produzione Festteatro, Pontederateatro, Armunia, Piccolo Osservatorio Universale Garzia
    partner tecnico Artefattiadp – Claudio Kougla Studio, 2006

    Amleto si trova in una stanza e vive in completa solitudine la sua storia. I fatti, i personaggi sono caduti davanti ai propri occhi e malgrado il suo volere e i suoi desideri deve confrontarsi con questi e prendere delle decisioni. La tragedia sta nel fatto che deve comunque risolvere la sua storia da solo, deve stare lì a parlare con personaggi che, pur portando sulla scena le dinamiche che noi tutti conosciamo del testo, sono però assenti. Amleto ha nella sua testa il fastidio di tutti. Polonio, Re Claudio, Ofelia, Laerte, la madre Gertrude, l’attore della compagnia girovaga, sono tutti assenti sulle sedie che sole gli fanno compagnia. L’unica compagnia reale sarà il fantasma del padre che in quanto tale lo metterà al corrente di ciò che veramente è successo. La storia è quella che tutti noi conosciamo e il testo scespiriano è smontato e reintrodotto sulla scena attraverso un soliloquio che vuole rendere in modo chiaro lo svolgersi della storia sino alla morte.
    Amleto porterà la sua epigrafe sin dall’inizio; le parole di Fortebraccio ancora una volta suoneranno a chiudere una storia che si ripete da quando l’uomo Amleto ha capito di dover compiere il passo verso le grandi scelte che lo aspettano. Le sedie vuote saranno le uniche testimoni della sua esperienza.
    Del resto, è possibile aggiungere ancora qualcosa
    Del resto, è possibile aggiungere ancora qualcosa ad un opera che è mito-teatrale? Abbiamo cercato di avvicinarci a più riprese al suo nucleo drammatico attraverso vari laboratori ma puntualmente ci confrontavamo con l’ossessiva e malinconica qualità della lingua scespiriana. Scoprivamo di esserci avvicinati ad un mistero senza riuscire a svelarlo del tutto. Una tragedia che sfugge all’analisi o che accetta tutte le analisi mentre racconta di un uomo che non accetta nulla. Rimane il mistero di un essere umano chiuso nella stanza dei ricordi e delle immagini che più l’assillano e da cui non vede l’ora di liberarsi.
    L’intensità favolosa delle sue utopie che non riesce a sostenere.

     

    SGUARDAZZI/RECENSIONI