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    ARCHIVIO SPETTACOLI

    Don Giovanni, Molière-Binasco (2018)

    Titolo: Don Giovanni

    di Molière
    regia Valerio Binasco

    con (in ordine alfabetico) Vittorio Camarota, Fabrizio Contri, Marta Cortellazzo Wiel, Lucio De Francesco, Giordana Faggiano, Elena Gigliotti, Gianluca Gobbi, Fulvio Pepe, Sergio Romano

    scene Guido Fiorato
    costumi Sandra Cardini
    luci Pasquale Mari
    musiche Arturo Annecchino

    assistente regia Nicola Pannelli
    assistente scene Anna Varaldo
    assistente costumi Silvia Brero

    produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

    Con questo Don Giovanni ci allontaniamo dalla tradizione recente che ci ha abituati (anche con allestimenti molto belli e paludati) a un protagonista emaciato, pre-esistenzialista, malinconico e cerebrale, in linea con le riletture novecentesche di Don Giovanni. Così a partire dal protagonista ho deciso di lasciar perdere il Cavaliere Spagnoleggiante della prima tradizione, così come la figura vampiresca e tardoromantica che fu cara agli intellettuali del secolo scorso. Per quanto mi riguarda si tratta solo di divagazioni lontane da quella cosa che io chiamo ‘vita’ – per mancanza di terminologia più precisa – e che mi ostino a ricercare in teatro, anche contro l’evidente contrarietà di certi testi e dei loro autori.
    Cosa cerco? Cerco proprio Lui, il protagonista di questa storia, come posso immaginare che sia stato PRIMA che nascesse la sua leggenda e la sua letteratura. Lo cerco nella vita, più che nel testo. Se lo cerco nella tradizione, Don Giovanni non c’è, c’è un fantasma letterario al suo posto. Se lo cerco nella realtà che mi sta intorno, Don Giovanni è poco più di un delinquente, un autentico delinquente, non un borghese che si atteggia. È il risultato di un eccesso di desideri compulsivi e viziosi, che egli coltiva con il preciso scopo di stare BENE con se stesso, e non di autopunirsi in modo estetico (come nella tradizione vampiresca novecentesca), né di fare la rivoluzione culturale. Ma con una caratteristica in più, che sembra però una caratteristica in meno, ma non lo è: la propria scarsa consapevolezza di chi egli sia realmente nell’anima. Questo suo ‘non percepirsi’ nel profondo, questo rifiuto a priori di considerare degno di interesse la coscienza di sé, è una condizione psicologica molto contemporanea, teatralmente interessante, poco indagata.  
    Valerio Binasco

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