ARCHIVIO SPETTACOLI

    Hotel Belvedere, Ö. von Horváth – P. Magelli (2013)

    Titolo: Hotel Belvedere

    di Ödön von Horváth
    traduzione Paolo Magelli
    regia Paolo Magelli
    scene Lorenzo Banci
    costumi Leo Kulaš
    luci Roberto Innocenti
    musiche Alexander Balanescu
    dramaturg Željka Udovičić
    con Francesco Borchi, Daniel Dwerryhouse, Marcello Bartoli, Fabio Mascagni, Mauro Malinverno, Valentina Banci, Elisa Cecilia Langone
    produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana

    L’Hotel Belvedere, dove si svolge questa commedia ‘noir’, è un albergo situato nella provincia prealpina bavarese, che è abitato da una popolazione europea senza speranza: intellettuali falliti, ladri di automobili, assassini, aristocratici decaduti, proletari graziati da un Dio ingiusto che sembrano usciti da un laboratorio di Wilhelm Reich.
    In questo testo, infatti, si incontrano e si scontrano con indicibile violenza e humour noir tutte le classi sociali di una Europa senza amore affaccendata a salvare se stessa e a distruggere gli altri, i più deboli.

    Questo testo non è soltanto un incredibile vaticinio che ci porterà agli orrori della Seconda Guerra Mondiale, ma ci lascia sconcertati perché in esso riconosciamo senza dubbio le inquietanti anomalie antiutopiche della storia che stiamo vivendo.
    Gente che non ha più un’utopia, legata solo ed esclusivamente alla disperata ricerca di una felicità volgare, materialistica, gente malata di voglia di dominare gli altri, di repressione, di qualunquismo fascista.
    Gente che sembra già essere uscita dal romanzo di Horváth Gioventù senza Dio, sua ultima opera, che uscirà postuma.
    “Io sono qualcun’altra, ma riesco ad esserlo solo così raramente”, dice Ada Von Stetten nel terzo atto.
    E questo sembra essere un motto e una delle tragedie del nostro tempo perché, attenzione, i personaggi di Horváth, di tutto il suo teatro, non sono i rappresentanti archeologici dell’Europa dei tempi passati; no, Horváth crede giustamente che tutti noi europei siamo permanentemente malati di ‘paleofascismo’, una malattia prodotta dalla nostra storia che ci ha resi portatori di un virus di odio che è entrato nel DNA dei nostri popoli, che si riattiva puntualmente con l’acuirsi delle crisi sociali. Odio sommerso da rassegnazione e apatia che si trasformano in una sorta di depressione collettiva.
    Una malattia che oggi sta imperversando di nuovo in Italia e in Europa.
    È una malattia strana questa che Horváth ci diagnostica, è qualcosa che lo avvicina alle teorie di Fromm, ma pare contaminarle con le analisi di Reich e con i teoremi di Jung; la nostra è una cattiveria sepolta dall’assenza della speranza, sepolta dagli incubi che ci hanno tolto la voglia di sognare e di credere nel bello; è una miscela letale che può esplodere improvvisamente e incendiare tutto.
    Horváth è senza dubbio in tutta la sua opera l’unico vero erede di Büchner e fu proprio in occasione della consegna del premio Kleist, che gli fu consegnato nel 1931 a Monaco, che il grande Carl Zuckmayer lo consacrò prevedendo quello che sarebbe accaduto due anni dopo: “Rappresentate i testi di Horváth e poi nascondeteli, perché presto saranno bruciati dall’odio”. Accadde due anni dopo. Nel 1933 tutti i libri di Horváth furono bruciati dai nazisti.
    Hotel Belvedere è una spietata radiografia delle nostre anime malate.
    Una nuvola nera che ci deve aiutare ad intravedere l’inizio della strada che ci porterà fuori dalla cattiveria e dalla paura“.

    (Paolo Magelli)

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