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    ARCHIVIO SPETTACOLI

    La camera azzurra, Simenon – Russo (2019)

    Titolo: La camera azzurra

    di Georges Simenon
    adattamento teatrale Letizia Russo
    regia Serena Sinigaglia
    con Fabio Troiano, Irene Ferri, Giulia Maulucci, Mattia Fabris
    assistenti alla regia Sandra Zoccolan e Giulia Dietrich
    scenografia Maria Spazzi
    costumi Erika Carretta
    disegno luci Alessandro Verazzi
    scelte musicali Sandra Zoccolan
    foto Laila Pozzo
    produzione NIDODIRAGNO/CMC – SARA NOVARESE

    La penna inesauribile di Georges Simenon ci regala una storia permeata di eros e di noir che per la prima volta approda a teatro. “La camera azzurra” (La chambre bleue) romanzo pubblicato nel 1963 e fortunato film di e con Mattieu Amalric (2014), è una vicenda archetipica ove si mescolano sensualità, paura, pettegolezzo, omertà, tradimento e moralismo nello scenario di una provincia francese retriva e giudicante.
    La storia, che coinvolge quattro volti sulla scena, è quella di due amanti, Tony e Andreè, ex compagni di scuola oggi quarantenni ed entrambi sposati, che si incontrano nella camera azzurra per dare sfogo alla propria passione irrefrenabile. Sono loro a ritrovarsi tempo dopo separati in un’aula di tribunale accusati di aver commesso crimini efferati, l’eliminazione di entrambi i coniugi con modalità diaboliche.
    L’interrogatorio cui vengono sottoposti per svelare la verità e rispondere alla sete di giustizia forcaiola della comunità diventa l’occasione per svelare non solo i meccanismi noiristici, ma per condurre un’indagine sull’umano, straordinaria quanto necessaria.
    Scrive la regista Serena Sinigaglia: “Il giallo in sé è intrigante ma non è la parte più interessante del romanzo. La parte più interessante, a mio avviso, è lo scandaglio sull’umano, sui suoi istinti più profondi e segreti. E’ l’erotismo che vi circola, è l’eterno conflitto tra passione e ordine. La passione degli amanti, l’ordine della famiglia. Due tensioni umane che appaiono difficili da conciliare, sempre. E poi il protagonista è come avvolto in una nebbia, a tratti sembra lo straniero di Camus, quasi “idiota” di fronte alla sua stessa sciagura, atarassico e annebbiato, costantemente confuso e distratto. In lui i confini della coscienza, intesa come consapevolezza, sono fragili e labili, come se si lasciasse agire dalla vita e nient’altro, un ospite occasionale di un’esistenza finché morte non sopraggiunga: la ghigliottina per l’appunto.
    Quindi, ben al di là del giallo, diventa affascinante lavorare sul concetto di colpa e su chi ha plagiato chi: ha fatto tutto lei? L’hanno fatto assieme? Ha fatto lei per suo marito, lui per sua moglie? Quel che è certo è che lui si è rovinato la vita”.
    La strada scelta è proprio quella dell’interrogatorio come luogo drammaturgico in cui si snoda il racconto e da cui si aprono e chiudono frammenti di realtà come flashback della storia.
    A guidare il confronto tra i personaggi un commissario ossessionato dalla risoluzione del caso, un poliziotto che conosce e vive in quell’ambiente di provincia asfittico, lui stesso parte di quella comunità chiusa e giudicante della quale, forse, è anche lui vittima e carnefice.

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