ARCHIVIO SPETTACOLI

    L’uomo seme, S. Bergamasco (2019)

    Titolo: L'uomo seme

    Racconto di scena ideato e diretto daSonia Bergamasco
    Da L’uomo seme di Violette Ailhaud (traduzione di Monica Capuani) 
    Drammaturgia musicale a cura diRodolfo Rossi e del Quartetto vocale Faraualla
    Con Sonia Bergamasco, Rodolfo Rossi, Loredana Savino, Gabriella Schiavone, Maristella Schiavone, Teresa Vallarella
    Luci Cesare Accetta
    Cura del movimento Elisa Barucchieri
    Assistente alla regia Mariangela Berardi
    Elettricista Domenico Ferrari 
    Fonico Paolo Casati
    Scene e costumi Barbara Petrecca
    Luci Cesare Accetta
    Cura del movimento Elisa Barucchieri 
    Assistente alla regia Mariangela Berardi
    Elettricista Domenico Ferrari
    Fonico Paolo Casati
    costumi realizzati presso la sartoria del Teatro Franco Parenti diretta da Simona Dondoni
    si ringrazia per la collaborazione Triennale Teatro dell’Arte e il Comune di Lucera
    Produzione Teatro Franco Parenti / Sonia Bergamasco
    Durata 75 minuti
    Foto di scena Luca Del Pia

    L’uomo seme è un inno alla vita, un racconto ideato, diretto e interpretato da Sonia Bergamasco. Uno spettacolo corale ideato in forma di ballata, in cui racconto, canto e azione scenica cercano un punto di equilibrio essenziale. Una storia sconvolgente, verosimile, narrata con una lingua così concreta e sapiente da farci dubitare dell’identità dell’autrice e dell’autenticità del ‘manoscritto’.
    Una produzione Teatro Franco Parenti, Sonia Bergamasco. 

     “Questo piccolo libro racchiude per me una storia nella storia.
    Alla sua prima uscita in Italia, nella traduzione di Monica Capuani, me lo regalò un’amica. Lo lessi in un soffio. Un’altra amica, poco dopo, me lo segnalò nuovamente, convinta che fosse una storia ‘per me’. Di che cosa si trattava, in effetti? L’uomo seme si presenta come un memoriale – e dunque una storia vera – raccontata dalla protagonista della vicenda, a molti anni di distanza dai fatti. Una donna ottantaquattrenne ci guida alla scoperta di una piccola comunità montana della bassa Provenza, aspra e ventosa, dove l’insurrezione repubblicana del 1851 prima e la Grande Guerra poi hanno falciato tutti gli uomini. Una comunità di sole donne è costretta per ben due volte a fronteggiare il presente con sentimenti alterni e contrastanti, ma con la determinazione invincibile di ripristinare il quotidiano, di dare di nuovo un futuro al villaggio.
    Violette Ailhaud, l’autrice del memoriale, torna all’epoca dei suoi sedici anni, quando la rivolta repubblicana aveva per la prima volta spazzato via gli uomini del villaggio, e ci racconta di come, nei lunghi mesi di attesa, di resistenza, di lavoro e di solitudine, le donne stabiliscono uno straordinario patto per la vita. Il primo uomo che arriverà, sarà l’uomo di tutte, per ridare vita alla comunità. L’amore non c’entra. Si tratta di riaffermare la vita. E così avviene.
    Una storia sconvolgente, verosimile, narrata con una lingua così concreta e sapiente da farci dubitare dell’identità dell’autrice e dell’autenticità del ‘manoscritto’.
    Ma che cosa c’entro io, in effetti, con quelle donne di un villaggio francese del XIX secolo? Che cosa mi spinge a rappresentarle, a dare loro voce?
    Prima di tutto, un’intuizione musicale. Nel libro La guerra non ha un volto di donna, Svetlana Aleksievic – premio Nobel 2015 per la letteratura – racconta di villaggi di sole donne dove la sera ci si riunisce per parlare di figli, mariti e padri assenti, di amore, di desiderio, di dolore. “La guerra la raccontano le donne – scrive la Aleksievic. Piangono. O cantano, ma è anche questo un pianto”.
    Il canto, dunque, come espressione primordiale. E le Faraualla – gruppo vocale pugliese con una lunga e gloriosa storia alle spalle – mi sono sembrate da subito le protagoniste ideali del racconto. L’unica figura maschile, ‘l’uomo seme’ appunto, è un maniscalco, e Rodolfo Rossi, musicista, didatta e percussionista di valore ne è per me l’interprete perfetto. Ho subito immaginato nascere questo racconto di scena attorno a un grande albero teatrale. Un albero-casa, un albero sonoro, un’invenzione di paesaggio attraversata dalla luce. Barbara Petrecca è l’artista-artigiana che l’ha realizzato. Successivamente, ho scoperto che il luogo di nascita e di morte di Violette Ailhaud, Saule-Mort, significa – letteralmente – salice.
    Infine, alla ricerca di un gesto teatrale esatto, concreto ed emotivo ho chiesto a Elisa Barucchieri, danzatrice e coreografa di grande sensibilità, di collaborare alla ricerca di questa lingua di scena. Le luci sono di Cesare Accetta, compagno di strada da molti anni”.
    Sonia Bergamasco.

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