ARCHIVIO SPETTACOLI
L’anatra, la morte e il tulipano, Franceschini (2018)
Titolo: L'anatra, la morte e il tulipano
liberamente tratto da Ente, tod und tulpe di Wolf Erlbruch
idea, traduzione, drammaturgia e regia Bruno Franceschini
coreografia e interpretazione Aldo Rendina e Federica Tardito
musiche di W. A.Mozart, L. Van Beethoven, G. Bizet, H. Gal, P. Hindemith e K. M. Komma
luci Lucia Manghi e Deborah Penzo
scenografia e costumi Cristiana Daneo
produzione Compagnia Tardito/Rendina (Torino) Associazione Sosta Palmizi (Cortona), Franceschini//Droste & Co. (Berlino)
la Compagnia è sostenuta da Città di Torino e Regione Piemonte
Quella dell’incontro fra l’anatra e la morte è una storia dal finale inevitabile, ma inaspettatamente divertente e leggera. In fondo racconta una cosa semplice, e cioè che la morte ci accompagna fin da quando siamo in vita e che comprenderlo ci aiuta a non averne paura, a sentirci meno soli e magari anche a vivere più consciamente.
La strana e inaspettata amicizia fra l’anatra e la morte viene narrata in primo luogo attraverso un linguaggio coreografico, grazie ai corpi e le movenze, ma anche alle voci di Aldo Rendina e Federica Tardito.
“E ora sei venuta a prendermi?” chiede l’anatra alla morte.
La sua risposta è al contempo semplice e illuminante.
“Ti sono accanto già da quando sei nata.”
Da questa laconica constatazione prende vita l’idea dello spettacolo, che prova a immaginare un mondo prima dell’inizio della storia narrata nel libro, quando l’anatra vive ancora “senza” la morte, cioè senza coscienza della sua ineluttabile presenza.
in fondo, si tratta di un’esperienza che noi adulti conosciamo bene. Fino a una certa età il tempo sembra essere solamente una categoria astratta, merce abbondante, superflua, priva di importanza, dilatabile fino all’inverosimile. Poi, d’un tratto, scatta qualcosa e la percezione che ne abbiamo cambia radicalmente. Il tempo inizia a scorrere, sempre più velocemente, e a noi, persi nella nostra quotidianità, sembra non bastare mai. Ci sono tante cose da sbrigare, da finire. Doveri, obblighi. Successi e piaceri. Avanziamo spediti o arranchiamo, in fondo, non importa, prima o poi ci blocchiamo, alziamo la testa e ci accorgiamo, stupiti, che il viaggio sta già per finire. Ecco, vivere accettando la morte può voler dire anche questo: fermarsi, qualche volta, e cercare un tempo, un ritmo più giusto, senza farsi prendere dalla frenesia – a volte ingannevole – della vita.