ARCHIVIO SPETTACOLI
L’avaro, C. Di Palma (2013)
Titolo: L'avaroRegia: Claudio Di Palma
di Jean Baptiste Molière
regia di Claudio Di Palma
con Lello Arena
e con Fabrizio Vona, Francesco Di Trio, Giovanna Mangiù, Gisella Szaniszlò, Eleonora Tiberia, Fabrizio Bordignon, Enzo Mirone
produzione Bon Voyage Produzioni e Civit’Arte 2013
Anche se ampiamente ispiratosi alla commedia Plautina, “L’avaro” di Molière è caratterizzata da una struttura ben diversa: è più lunga e presenta tematiche diverse quali quelle dell’amore e del matrimonio.
“L’avaro”, insieme a “Tartufo”, a “Il malato immaginario”, a “Il borghese gentiluomo”, è una delle grandi commedie di Molière, una delle più note, delle più celebrate, delle più rappresentate ed anche una delle più imitate.
“L’avaro” è del 1668 e non riscosse subito un grande successo; questo arrivò più tardi, a poco a poco, fino ad essere considerata la migliore delle commedie di Molière. Ha delle caratteristiche che la rendono una commedia straordinariamente completa e divertente, perché in essa Molière vi ha messo dentro tutti gli ingredienti, i motivi, gli intrecci, le scene farsesche, che rendono esilarante una “pièce” comica.
La storia narra dell’avaro Arpagone e delle sue vicende che si dipanano portandoci in un mondo di intrighi e sotterfugi che nella sua intenzione hanno lo scopo di non mettere a repentaglio la propria ricchezza, anche a costo di mettersi contro i figli.
Matrimoni non graditi, alleanze, furti, progetti sfumati, equivoci sono il centro di un intreccio che ci conduce all’interno della storia nella quale non mancano dialoghi diventati celebri pezzi del Teatro comico di tutti i tempi.
Un classico diretto in un nuovo allestimento da Claudio Di Palma con Lello Arena che, reduce dal grande successo di “Capitan Fracassa” in scena da due stagioni, affronta, dopo “George Dandin” e “Tartufo”, per la terza volta un testo di Molière in un ruolo, Arpagone, che, come scrive Squarzina, «ha in sé nello stesso tempo il tragico e il comico».
Chiedere al servo del figlio di mostrare le altre due mani o imporre con trovata originale al cuoco/cocchiere di predisporre il castagnaccio fra i primi piatti di un pranzo, sono manifestazioni del carattere di Arpagnone, ostaggio di un impulso più forte di lui; scene tanto più esilaranti in quanto basterebbe ben poco a farle diventare oggettivamente dolorose.
Giovanni Macchia nel “Silenzio di Molière” parla di «una maschera in cui il dolore, dissimulato col riso, diventa smorfia atroce».
È questa dialettica, sempre in atto del coesistere nel cuore umano del “carnefice” e della “vittima” a imprimere alla commedia il marchio del grande teatro
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Lello Arena, in precedenza, ha calcato le scene del Plautus Festival nel 2009, in “La tempesta” di William Shakespeare, e nel 2012 il “Capitan Fracassa” di Théophile Gautier.
In precedenza “L’avaro” è andato in scena al Plautus Festival altre tre volte: nel 1981 e nel 2003 con Mario Scaccia, e nel 1989 con Mario Carotenuto.