ARCHIVIO SPETTACOLI

    Reality, Deflorian-Tagliarini (2012)

    Titolo: Reality

    a partire dal reportage di Mariusz Szczygieł Reality, traduzione di Marzena Borejczuk, Nottetempo 2011
    ideazione e performance Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
    disegno luci Gianni Staropoli
    consulenza per la lingua polacca Stefano Deflorian, Marzena Borejczuk e Agnieszka Kurzeya
    collaborazione al progetto Marzena Borejczuk
    organizzazione Anna Pozzali
    comunicazione PAV
    promozione e distribuzione internazionale Francesca Corona
    produzione A.D., Festival Inequilibrio/Armunia, ZTL-Pro

    Realtà, reality senza show, senza pubblico. Essere anonimi e unici. Speciali e banali. Avere il quotidiano come orizzonte. Come Janina Turek, donna polacca che per cinquant’anni ha annotato minuziosamente ‘i dati’ della sua vita: quante telefonate a casa aveva ricevuto e chi aveva chiamato (38.196); dove e chi aveva incontrato per caso e salutato con un ‘buongiorno’ (23.397); quanti appuntamenti aveva fissato (1.922); quanti regali aveva fatto, a chi e di che genere (5.817); quante volte aveva giocato a domino (19); quante volte era andata a teatro (110); quanti programmi televisivi aveva visto (70.042). 748 quaderni trovati alla sua morte nel 2000 dalla figlia ignara ed esterrefatta. Mariusz Szczygieł (autore di uno dei più sorprendenti libri di storia degli ultimi anni, “Gottland”) scrive nel reportage che ci ha fatto scoprire questa storia «Nella routine quotidiana succede sempre qualcosa. Sbrighiamo un’ infinità di piccole incombenze senza aspettarci che lascino traccia nella nostra memoria, e ancor meno in quella degli altri. Le nostre azioni non vengono infatti svolte per restare nel ricordo, ma per necessità. Col tempo ogni fatica intrapresa in questo nostro quotidiano affaccendarsi viene consegnata all’ oblio. Janina Turek aveva scelto come oggetto delle sue osservazioni proprio ciò che è quotidiano, e che pertanto passa inosservato».
    Nessuno stupore se una scelta del genere la fa un’artista visiva come Sophie Calle, in fondo niente di diverso delle opere immaginate da Michel Houellebecq nel suo ultimo libro, “La carta e il territorio” dove il protagonista passa quindici anni a filmare dettagli casuali del fogliame intorno a casa. Quello che mette uno strano brivido addosso nello scorrere la vita nei dettagli di questa anonima casalinga di Cracovia, è che non è un’opera artistica, non è un paradosso intellettuale, non è rivolto in nessun modo ad un pubblico. Per sua scelta personale, aveva cominciato intuitivamente a nobilitare il proprio trantran quotidiano. Perché?
 Nel 2008 per “Rewind”, omaggio a “Cafè Müller” di Pina Bausch abbiamo avuto come ‘oggetto’ lo spettacolo della coreografa tedesca, l’anno successivo abbiamo incentrato il lavoro “from a to d and back again” attorno alla ‘filosofia di Andy Wahrol’. Per noi partire da quest’opera colossale e misteriosa che sono i quaderni di Janina Turek è un passo naturale. Non si tratta di mettere in scena o di fare un racconto teatrale attorno a lei, ma di dialogare con quello che sappiamo e non sappiamo di Janina e di creare una serie di corto circuiti tra noi e lei e tra noi e il pubblico attorno alla percezione di cosa è la realtà.

    SGUARDAZZI/RECENSIONI