ARCHIVIO SPETTACOLI

    Squares do not (normally) appear in nature, OHT | Office for a Human Theatre (2017)

    Titolo: Squares do not (normally) appear in nature

    idea e regia Filippo Andreatta
    ricerca scientifica Chiara Spangaro
    movimenti meccanici e meraviglia Paola Villani
    scenografia Filippo Andreatta e Paola Villani
    musica di scena Roberto Rettura
    direttore palcoscenico Rosario Fontanella
    tecnico Giovanni Marocco
    organizzazione Laura Marinelli
    amministrazione Chiara Fava
    brano “ala” di Matteo Nasini
    una produzione di OHT, Provincia Autonoma di Trento
    in collaborazione con MART museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto,
    Regione Trentino Alto-Adige, Comunità di Valle della Vallagarina, PuntoLuce sas
    residenza artistica: Centrale Fies, Albers Foundation
    debutto Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Italia
    ringraziamenti: Barbara Boninsegna, Annalisa Casagranda, Brenda Danilowitz, Fritz Horstman,
    Alessandra Klimciuk, Nick Murphy, Giacomo Raffaelli, Jeannette Redensek, Nicholas Fox Weber

     

    Squares do not (normally) appear in nature è un progetto teatrale e installativo ispirato da Josef Albers, il concetto d’astrazione e gli unicorni.

    Attraverso 13 esperimenti visivi e sonori Squares do not (normally) appear in nature pone lo spettatore a confronto con uno spazio senza attori. Alla base del lavoro, la consapevolezza del colore tramite luce, nebbia, vetro, font e immagini che diventano protagonisti della scena. Una metafora letterale di come soltanto temi apparentemente astratti sono gli attori della ricerca di Josef Albers attraverso le forme, la realtà e l’osservazione.

    “Astratto, nel dizionario Oxford d’inglese, ha nove definizioni, di cui la più appropriata è la 4.a.: ”ritirato o separato dalla materia, dall’incarnazione materiale […]. Opposto a concreto”. Dal latino abstractus, significa ‘tratto via’. Come in matematica il senso di astrarre qualcosa significa ridurlo al suo essenziale – dando per inteso che le entità matematiche sono astrazioni – così nelle arti visive il senso della pittura astratta è una composizione con un certo o totale grado d’indipendenza dal mondo reale e dalla sua mimesi. Quest’azione di allontanamento o separazione è l’aspetto chiave del progetto che sorge dalla domanda: il teatro come ridefinisce se stesso eliminando i suoi esecutori? Cosa ne rimane? Astrarre è un modo per riportare spiritualità a un lavoro?

    L’azione parte dalla citazione di Mies van der Rohe sulla chiusura del Bauhaus come punto di non ritorno per Josef Albers. Albers infatti non solo attraversa l’Atlantico in cerca di una nuova vita negli Stati Uniti, ma si muove verso una diversa e ulteriore formulazione dell’osservazione che lo porta all’essenza di come la realtà e le cose sono costruite e percepite. Nel suo percorso, in cui l’osservare è connesso agli aspetti sensibili e fisici del vedere, i criteri e le parole di Albers, così come il suo materiale artistico, la sua gamma di colori e i suoi oggetti, connettono lo spettatore con una rinnovata tipologia narrativa. Una narrazione rallentata, i cui parametri non sono familiari e rientrano nel dominio della percezione che l’artista tedesco aveva già intuito nel suo lavoro e che costringono il pubblico ad adottare nuovi criteri rispetto a quelli generalmente accettati o conosciuti.

    Squares do not (normally) appear in nature è, innanzitutto, un invito ad ascoltare e guardare, a riappropriarsi del proprio tempo. Come suggerito dal titolo, questo lavoro riguarda anche la natura e ciò che normalmente non appare in essa. In particolare, lo spettacolo drammatizza effetti astratti mettendo in scena reazioni naturali quali l’aurora boreale e gli arcobaleni. Questa specifica scelta decostruisce l’ingannevole convinzione che l’arte astratta è troppo impersonale o fredda. Non stupisce se Elaine de Kooning ha notato che “anche se i suoi dipinti in un primo momento potrebbero sembrare impersonali, non uno di loro potrebbe essere stato dipinto da qualcun altro se non Josef Albers stesso”.

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