Goretti e il gobbo a chilometro zero

Sguardazzo/recensione di "Gobbo a mattoni"

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Cosa: Gobbo a mattoni
Chi: Riccardo Goretti
Dove: Carrara, Palco 38
Quando: 13/11/2016
Per quanto: 70 minuti

Sbaglia chi pensa che lo scivolamento della parola possa bastare, che un rafforzamento di gesti deittici possa essere sufficiente, il vero Toscano lo devi scovare nella tana: nelle viuzze della campagna, nei casolari e nei baretti. Sarà che, per assistere a Gobbo a mattoni, chi scrive si è infiltrato nel piccolo spazio Palco 38, a Carrara, sarà perché lo spettacolo è interamente incentrato su un circolino o sarà perché a far da padrona era quella lingua così schietta e sincera, ma mi son sentita a casa. Oggi passano sotto il marchio di Denominazione d’Origine Protetta, allestimenti come l’ultimo mainstream di Pieraccioni-Conti-Panariello, traslazione teatrale di gag e macchiette televisive che, per chi scrive, ha poco a che vedere con quei maledetti toscani (si pensi a Malaparte, ma anche al caro Carlo Monni) ai quali il rigurgito del dialetto proviene dal centro dello stomaco. Quel teatro verace, veritiero, che racconta di noi, di quello che eravamo e di quello che siamo oggi.

A farlo per noi è uno smagliante Riccardo Goretti (unico attore, se non per la comparsata finale del regista Massimo Bonecchi) intento a un solitario, seduto a un tavolo con quattro sedie attorno e niente più. Troviamo posto davanti a lui, in questo spazio “intimo”: ci racconta la storia di una casa del popolo costretta a chiudere e alla quale, nella stanza accanto, tra urla, trenini e canti, viene dato l’ultimo saluto. A lui non va di festeggiare. Lui, il Sindachino (soprannome a causa della stretta vicinanza al sindaco del paese), è triste perché con oggi si sancisce la fine di un’era inaugurata cinquant’anni fa con Tu che mi hai preso il cuor appositamente eseguita dal vivo da Gianni Morandi.

gobbo-a-mattoni-ph-cecconi-francescaCome tutti i giorni si ritrova seduto a un tavolo, il suo, ad attendere i tre amici per giocare a briscola: Dumenuti, Krusciovve e la Madonnina. La peculiarità del gioco è che il loro mazzo, sempre quello, è monco, avendo smarrito il Jack (Gobbo, appunto) a mattoni. È consuetudine del gruppo conoscere tale defezione e, quindi, verso la fine della partita, “utilizzare” il fantomatico fante dichiarandolo semplicemente a voce. Aspettando gli amici godottiani, Goretti li descrive accomodandosi sulla sedia che erano soliti occupare, ci parla di loro e della vita vissuta in quel circolino in un percorso amarcord tra riso e riflessione. Tramite questa carrellata si ripercorre la storia intera della casa del popolo, ma, allo stesso tempo, si ricordano tutti questi centri che hanno abitato e vissuto la Toscana. Non manca una sinossi della storia della sinista: sia dal punto di vista iconico (dalla falce e martello alle varie piante e fiori) sia da quello delle abitudini che fanno da ponte tra Matteotti e Matteo Renzi.

Spettacolo verace, sincero, dove la naturalezza e la spontaneità della narrazione riconducono a una semplicità tutta toscana e che Goretti cortesemente ci offre su un piatto d’argento. Una mimica facciale accompagnata da gesti calibrati e studiati, niente è dato al caso: dall’ammicco nel gioco delle carte alla simulazione dell’apertura del finestrino a manovella.

 

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... una ricetta sarebbe... la polenta con il "cuniglioro" (toscanismo per "coniglio") o, per i più raffinati, "cor cignale" (cinghiale)

Locandina dello spettacolo



Titolo: Gobbo a mattoni

di Riccardo Goretti
con Riccardo Goretti e Massimo Bonechi
regia Massimo Bonechi
Progetto RitrovArciSpazio Teatrale Allincontro // ZTT – Zone a Traffico Teatrale


Goretti, detto in paese “Sindachino”, è fermo al suo tavolo da briscola, al circolino, ad aspettare i suoi compagni di sempre: “Krusciovve”, il suo compare storico, due volte sindaco del paese (e da questo, per la loro assidua frequentazione, deve il suo soprannome Goretti), passato da PCI a PDS a DS a PD a NONVOTANTE. “Dumenuti”, che da ragazzo faceva l’attore nel teatro e da vecchio s’è rovinato col videopoker. “La Madonnina”, Marigia Martinelli, che pare una madonnina in effetti, ma bestemmia come un camionista. Ma stasera nella sala delle carte non viene nessuno. Perchè domani il circolino, dopo 50 anni esatti d’onorata carriera, chiuderà per sempre. Son tutti di là, a festeggiare, a dare l’addio a quelle sale ingiallite dal tempo e dalle sigarette. Il Sindachino non s’arrende. E aspetta. Facendo un solitario. Nel suo schema di carte c’è un buco: da quel mazzo, che i 4 non hanno mai cambiato negli ultimi 15 anni, manca il gobbo a mattoni. Poco importa, basta saperlo, e riadattare le regole del gioco è un attimo. Ma il mazzo perdio non si cambia. Così, mentre aspetta e gioca con quel mazzo mancamentato, il Sindachino racconta. Racconta di sé (poco) e degli altri (tanto) e di cosa è accaduto in 50 anni dentro al circolino. Finché Massimo il barista va ad avvertirlo che di là la festa è finita. Sono andati tutti via, e lui sta iniziando a sbaraccare, che domani si chiude, ma per davvero… e allora, come spesso accade nella vita, e noi neanche ce ne accorgiamo, non rimane che una cosa da dire. E una cosa da fare.  

Francesca Cecconi
Da attrice a fotografa di scena per approdare alla mise en espace delle proprie critiche. Under35 precaria con una passione per la regia teatrale. Ha allestito una sua versione di Casa di bambola di Ibsen. Se fosse un’attrice: Tosca D’Aquino per somiglianza, Rossella Falk per l’eleganza, la Littizzetto per "tutto" il resto.