Finale di Partita e il peso beckettiano

Sguardazzo/recensione di "Finale di partita"

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Cosa: Finale di partita
Chi: Glauco Mauri, Roberto Sturno
Dove: Firenze, Teatro della Pergola
Quando: 10/01/2018
Per quanto: 80 minuti

Lo abbiamo visto e rivisto, e ogni volta è come se fosse la prima: un’emozione unica. Finale di Partita di Samuel Beckett è tra i testi più emblematici della storia del teatro, tra i più discussi e studiati, si pensi al celebre trattato di Adorno che tentava di capirlo, o ai molti allestimenti realizzati (da Carlo Cecchi a Massimo Castri, passando da Camilleri per approdare a un adattamento in calabrese di Giancarlo Cauteruccio).  È quindi con piacere che assistiamo alla messinscena di Andrea Baracco, che vede Glauco Mauri e Roberto Sturno nei panni dei due reietti Hamm e Clov, costretti all’interno di un bunker molto ampio, che rende i protagonisti ancora più piccoli nella loro infelice quotidianità.

Rimaniamo colpiti da un inizio particolare e non affine al testo dell’irlandese: il sipario della Pergola, infatti, è chiuso, permettendo a Clov/Sturno di uscire in proscenio con una sveglia che scandisce il tempo, senza definirlo, in un loop infinito che cadenza la routine dei due. Uno l’opposto dell’altro, Hamm e Clov: il primo, infermo e obbligato su una sedia a rotelle, il secondo, capace di muoversi, ma legato da un rapporto indissolubile con l’altro e, nonostante la voglia di andarsene, l’impossibilità di tradurre in pratica tale proposito. Costretti all’interno di un bunker post-atomico dalle tonalità verdi e marroni, la coppia conduce una vita che è sempre la stessa, con le solite mosse: l’unico rapporto con l’esterno è dato da due finestre poste ai lati, dalle quali non si vede nessuna presenza umana (se non al termine dell’opera).

Mauri e Sturno non sono alla loro prima messinscena beckettiana, da anni s’adoprano a proporre i testi del Nobel irlandese: a tal proposito, ricordiamo il percorso multimediale (ideato con la collaborazione di Baracco) integralmente dedicato all’autore, dal non casuale titolo En attendant Beckett, presentato, sempre alla Pergola, il 5 gennaio appena trascorso. Un legame poetico, quindi, di lunga data fa da sfondo a questo Finale di Partita, presupposto ottimale per inscenare il tran-tran paradossale e asfittico della vita della coppia tratteggiata nel testo. Una recitazione naturalistica quella proposta da Baracco, ben diversa dallo stile Buster Keaton/Charlie Chaplin ideato nella mente del drammaturgo durante la stesura del testo. Le battute si susseguono senza grandi balzi comici, il riso nello spettatore si ha solo per le espressioni legate alla ripetizione già insite nel copione di partenza.

Adeguata controparte sono Nell e Nagg, i genitori che durante un incidente hanno perduto le gambe: il drammaturgo li pone all’interno di altrettanti bidoni della spazzatura, qui diventati autentiche “gabbie” per l’immondizia, estratte dalla scenografia come fossero cassetti. La peculiarità dei due interpreti, Elisa di Eusanio e Mauro Mandolini, è di essere totalmente nudi, particolare che interpretiamo come segno  della loro identità di progenitori all’interno della piéce, sorta di Adamo ed Eva beckettiani.

Al di là di questi due accorgimenti, la regia di Baracco è piuttosto aderente alla drammaturgia di partenza: nessun rischio nell’introduzione di elementi moderni, come fece Giancarlo Cauteruccio con il DDT per l’insetticida, o Carlo Cecchi con l’Oro Saiwa per il biscotto classico. Ci verrebbe da chiederci se questa scelta sia veramente voluta o se sia una sorta di soggezione, legittima, nei confronti della voce autoriale, che impone tramite le fitte didascalie, poca libertà di interpretazione.

Un allestimento da manuale, ottimo per avvicinare un nuovo pubblico a un lavoro ricco di sottotesti che, nel loro essere inespressi, rivelano una incomunicabilità dell’essere umano, in questo caso, spinta al caso estremo.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... un indumento classico sarebbe... una polo blu ben stirata

Locandina dello spettacolo



Titolo: Finale di partita

di Samuel Beckett
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
regia Andrea Baracco
produzione Compagnia Mauri Sturno

Un Finale di partita per Glauco Mauri e Roberto Sturno diretti da Andrea Baracco. Il testo di Beckett è uno dei più significativi di tutta la sua opera nel parlare dell’insensatezza della condizione umana, dell’insondabilità dell’universo e dell’umano, del tentativo di esprimere l’inesprimibile: un teatro di personaggi che si fissano nella memoria, vivi e palpitanti, più di tanti altri della cosiddetta drammaturgia di stampo realistico. L’opera di Beckett è una parodia, unica forma che beffeggia le altre nell’epoca della loro impossibilità, dell’esistenzialismo come riflessione sull’individualità, la solitudine dell’io di fronte al mondo, l’inutilità, la precarietà, il fallimento, l’assurdo dell’esistere, i limiti e le possibilità della libertà individuale, incentrando queste riflessioni intorno alla domanda: che cosa vuol dire esistere? Il teatro non può far altro che dichiarare la negatività del presente e avere una sua positività proprio nella dichiarazione del negativo. “Sono complementari, ma ostili, ferocemente legati l’uno all’altro, Clov con un passo fuori dalla porta, da sempre e per sempre in procinto di varcare la soglia e via, scapparsene via, Hamm che, da parte sua, non fa altro che invitarlo costantemente verso l’uscita, e neppure in maniera tanto delicata, più con violenti spintoni che con amorevoli saluti”.

Francesca Cecconi
Da attrice a fotografa di scena per approdare alla mise en espace delle proprie critiche. Under35 precaria con una passione per la regia teatrale. Ha allestito una sua versione di Casa di bambola di Ibsen. Se fosse un’attrice: Tosca D’Aquino per somiglianza, Rossella Falk per l’eleganza, la Littizzetto per "tutto" il resto.