Quando la semplicità diviene virtuosismo

Sguardazzo/recensione di "Un quaderno per l'inverno"

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Cosa: Un quaderno per l'inverno
Chi: Massimiliano Civica; Armando Pirozzi, Alberto Astorri, Luca Zacchini
Dove: Prato, Teatro Fabbricone
Quando: 15/03/2017
Per quanto: 50 minuti

Merita una riflessione ex post l’ultima fatica di Massimiliano Civica Armando Pirozzi, Premio Ubu 2017 (ex aequo) per la drammaturgia.
Due attori in scena, Alberto Astorri e Luca Zacchini, a misurarsi coi rispettivi personaggi in una dialettica innescata sia dai drammaturghi sia dal regista. In rotta di collisione, due universi remoti: quello paranoico di Velonà, annoiato e disilluso docente universitario al tramonto, e quello più borderline di Nino, giovane ladro, marito e poi padre, digiuno di lettere, ma pure di pane, estraneo alle elucubrazioni solitarie del kafkiano professore.

Un tavolo, bianco, due sedie, rosse: semplicità che è quasi nudità, ostentata, così come quelle del disegno luci, uno statico rettangolo rischiarato, e dei cambi-scena, a vista, che frazionano, con asettica chirurgia, la lunga parabola temporale delle irruzioni del mariuolo nella solitudine domestica del professore. I salti temporali sono indicati da minuti aggiustamenti nell’asciutta recitazione degli attori, nei cambi di costume, a vista, che interrompono il flusso di coscienza delle parole: nello spettatore, sono ripetute le sconnessioni in rapporto sia al tempo della storia sia a quello del racconto. Motore del dramma, il ritrovamento, da parte di Nino, di alcune poesie che stimolano a tal punto la propria sensibilità da condurlo al mutamento; si convince, così, che se leggerà alla moglie in coma i versi scovati, potrà salvarla dalla fine imminente.

La messinscena è prepotentemente minimalistica: la vicenda viene destrutturata in una diegesi lineare, con un’operazione registica di ulteriore condensazione per un testo già di per sé assai scarnificato. Al contempo, la sfida di Civica-Pirozzi sembra quella di inscrivere, all’interno di un’estrema sintesi formale, una riflessione profonda sugli impulsi vitali e salvifici insiti nell’arte, nella poesia, nel teatro; impulsi, però, ignorati da una società malata di fretta e distrazione. Si delineano, così, gli orizzonti di un traguardo del quale razionalmente s’intravedono i contorni, ma la sensazione è quella di un’ostinata messa a fuoco, ex ante, ai limiti del pretestuoso, al di là del nobile obiettivo. Il personalissimo dubbio è che lo spettacolo risulti più un esercizio di stile, tanto colto e studiato, quanto compiaciuto.

È, questo, un quaderno da sfogliare in soli cinquanta minuti e che vorrebbe provocare lo spettatore, sfidarlo a individuare in un tessuto drammaturgico e registico impalpabile, come fosse di seta, il complesso groviglio relativo alle profonde motivazioni dell’estetica, quasi invitandolo a trovare il proprio personale bandolo della matassa, decodificando e attribuendo simbologie non del tutto immediate.
È possibile, ci chiediamo, esprimere ciò che ha provato a dire (riuscendoci) Virginia Woolf, nella Lettera ad un giovane poeta così come nel magma pulsante di un’estesa e vasta opera letteraria, condensare tutto ciò in un solo atto unico a suo modo definitivo?

Il risultato di questa ambiziosa operazione pare, piuttosto, la visione complessiva e frammentaria di una breve sequenza di episodi, di sketch che rischiano di elidersi, sino a diventare trasparenti, anziché richiamare emozionalmente lo spettatore alla complessa stratificazione di decenni, o addirittura secoli, di questioni centrali di estetica dell’arte, della lettaratura, della poesia e della creatività in generale. Ciò che ricordo, invece, a una certa distanza dalla visione, è la presenza in scena, così centrale, in senso sia visivo sia cromatico, di arance che rotolano per poi essere spremute, elemento comune pure all’ultimo lavoro di Korsunovas, Winter, approdato anch’esso al Fabbricone circa due primavere fa.

VERDETTAZZO

Perché: No
Se fosse... un agente atmosferico sarebbe... un fulmine (a ciel sereno)

Locandina dello spettacolo



Titolo: Un quaderno per l'inverno

di Armando Pirozzi
uno spettacolo di Massimiliano Civica
con Alberto Astorri e Luca Zacchini
costumi Daniela Salernitano
scene Luca Baldini
regia di Massimiliano Civica

produzione Teatro Metastasio di Prato
con il sostegno di Armunia Centro di Residenze Artistiche Castiglioncello

 


Un quaderno per l’inverno, testo per due attori in tre scene, racconta la storia di un introverso professore di letteratura che, rientrando in casa, vi trova un ladro, armato di coltello, che vuole da lui qualcosa di molto insolito: è una questione di vita o di morte. Durante la notte che segue i due personaggi, in bilico tra speranza e disperazione, si confrontano su idee, sentimenti, interrogativi dolorosi, in un dialogo per entrambi nuovo e inaspettato. I due si ritroveranno anni dopo, ancora in qualche modo segnati dall’esperienza di quella notte che, seppure vissuta e ricordata in modi molto diversi, ha tracciato forse la possibilità di un cambiamento, di una più ampia comprensione. Il tema centrale del testo è la scrittura e la sua possibilità di incidere direttamente sulla realtà: la forza miracolosa della poesia, non come semplice esercizio di tecnica letteraria, ma per la dirompente carica vitale che suscita, nonostante tutto, nelle persone. (Armando Pirozzi)
Nel Teatro all’Antica Italiana, di uno spettacolo che era stato un successo si diceva che aveva "incontrato" il pubblico. La parola "incontro" stava dunque per "successo". È stato un incontro, è stato un bell’incontro: è tutto quello che si può e si deve pretendere dal Teatro. Con Un quaderno per l’inverno non vogliamo dire qualcosa agli spettatori, ma condividere qualcosa con loro. Qualcosa che sentiamo che ci riguarda, come persone ed esseri umani. Alla fine delle repliche saremo sereni se, in piena onestà, potremo dire: è stato un incontro. (Massimiliano Civica)

Francesco Tomei
Autoironico gemello diverso (da quello serioso accademico), nasce sui monti di Barga, è laureato (due volte) nonché organizzatore teatrale. Approda a LSDA nel bel mezzo d’una metamorfosi da Pulcinella in dottore di ricerca. Si divide fra critica, canzoni (da scrivere) e archivio (da contemplare).