Manifesto
M

Avevamo vegliato tutta la notte
i miei amici ed io sotto lampioncini di strada anonimi
e sbilenchi, piovosi come le vostre anime, perché più di questi
tediati dal chiaro fulgòre di cuori elettrici posticci.

Avevamo lungamente calpestata,
su anonimi tappeti sintetici la nostra atavica accidia,
discutendo davanti ai confini estremi della logica
ed annerendo molta carta di frenetiche scritture.

Avevamo dato per consunta ogni possibilità
di ribattere sulla pagina collosa d’un giornale
le solite ciarle pacifiche (e per giunta con la pretensione
d’interessare e d’istruire un popolo refrattario).

Avevamo detto vuote le zucche dei prolifici discorritori
da taverna, stravaganti gli abiti dei monaci di osteria,
insana la vita dei custodi di castelli d’aria. Restammo noi,
ladruncoli imbucati a una festa privata, un letto altrui:

Arlecchini giungemmo, bandiere conce, nulle maschere,
sghignazzi a josa. Linguacciuti e incerti, dubbiosi e sottrattori,
servitor di più padroni, schiavi a nessuno.
Comici non più, guardatori di, semmai.

Col vezzo di praticare arti dismesse o inflazionate,
fuori tempo, fuori causa, fuori gioco, fuori squadra,
con diligenza (scherzo non è, neppure cosa seria)
e con la (scarsa) eleganza che ci contraddistingue. 

Sguardazzi, Strombazzi, Intrallazzi: questo facciamo
(e altro non potremmo). Razzaccia asinina (ma v’è metodo),
chiedemmo ospitalità: non fu negata. Or in linea (coi tempi che corrono!)
ed in vigore.  Leggete, e vedrete che il titolo sta a meraviglia.