ARCHIVIO SPETTACOLI

    Ero, C. Brie (2015)

    Titolo: Ero

    regia César Brie
    di e con César Brie
    scene e costumi Giancarlo Gentilucci
    musiche Pablo Brie
    disegno luci Daniela Vespa
    burattino Tiziano Fario
    in collaborazione con Arti e Spettacolo / Cesar Brie

    César Brie presenta un monologo a più voci, un lavoro intimo, a tratti autobiografico, Ero, un viaggio attraverso l’amore, la morte, l’assenza, il dolore e la gioia, dietro al quale si nascondono vicende personali.

    «Credo che il reale non sia ciò che si vede.
    Che il reale sia in agguato dietro le vicende e le situazioni.
    Di quel reale “in agguato” mi occupo da tempo.
    Cerco di “non recitare”, di avere onestà, verità, esposizione e poesia nella finzione della recita.
    La scena non è per me uno spazio dove dire testi scritti da altri.
    Non è un luogo naturale. Non esiste la “scena” in natura.
    La scena esiste ogni volta che indago, osservo e abito l’esistenza senza volerci soltanto vivere.
    Scena come luogo in cui appare ciò che non è visibile.
    Ogni spazio ed ogni evento possono diventare “scena” se li osservo e li interrogo.
    Mi interessa qualcosa di antico, il rapporto tra il bello e il vero.
    Mi interessano le forme che il bene può assumere in arte senza essere noioso e retorico.
    Che la crudeltà e il male siano più interessanti del bene, in scena, non è una novità.
    Ma che la crudeltà possa essere la forma in cui la pietà si esprime in arte non è automatico.
    È la responsabilità di creare il legame tra pietà a crudeltà.
    Quella responsabilità di cui ci riempiamo la bocca nei nostri discorsi e che così poco pratichiamo nella vita e ancora meno nel nostro mestiere di artisti.
    La nostra cultura spesso si sostiene su delle imposture.
    Sulla fallacia di nominare ciò che non conosciamo e ridurre a parole le azioni che non realizziamo.
    I nomi al posto delle azioni e dell’esperienza.
    A questo spesso abbiamo ridotto la conoscenza.
    Responsabilità implica difficoltà, rischio.
    Ho indagato sulle vicende delle persone, dei miei contemporanei.
    Ciò che ci accomuna.
    Dietro le grandi parole ho scoperto migliaia di vicende.
    E quasi tutte collegate ad alcuni archetipi. Spesso familiari.
    Ho scelto questi: padre, madre, nonni, infanzia, assenza, fratelli, figli, amore, esilio, mestiere e rancore.
    Ho unito queste figure in un racconto che sembra autobiografico ma che non è la mia biografia.
    Ho raccontato di me per dire di voi nella convinzione che possiate riconoscervi in una vicenda altrui.
    Riconoscere, tornare a vedere alla luce dell’arte un brandello della propria esistenza.
    Trentasei anni fa ho fatto uno spettacolo “A rincorrere il sole”.
    Parlavo del suicidio di un ragazzo e del tragitto verso quel suicidio.
    Quel lavoro disperato, fatto in esilio, nell’istante in cui crollavano i nostri miti, mi salvò la vita.
    Credevo di parlare dei miei amici suicidi e in realtà esorcizzavo il mio suicidio rannicchiato sotto le sconfitta di una generazione.
    ERO forse cerca di chiudere quella parentesi aperta. Parlavo degli altri per riscattare me. Parlo di me per dire degli altri e forse riuscire ancora a riscattarmi.»

    (César Brie)

    SGUARDAZZI/RECENSIONI