ARCHIVIO SPETTACOLI

    Orfeo ed Euridice, C. Brie (2015)

    Titolo: Orfeo ed Euridice
    Regia: César Brie

    testo e regia César Brie
    costumi Anna Cavaliere
    musiche Pietro Traldi
    con Giacomo Ferraù e Giulia Viana
    disegno luci Sergio Taddo Taddei
    produzione Teatro Presente / Eco di fondo

    “E se lei ritornasse?
    E se lei si svegliasse un giorno?
    E se un mattino aprisse gli occhi?
    Lasciarla andare significa ucciderla? O è lasciar andare la tua di speranza?
    Lasciarla andare significa ucciderla? O è il canto di amore più straziante?
    Il gesto più puro, l’amore che si afferma nella perdita?
    Orfeo è rauco. Euridice è sorda.”

    “Orfeo con la sola forza del suo canto prova a strappare la sposa Euridice dal regno dei morti. La forza e la poesia del mito si intrecciano in questo lavoro con due temi controversi: l’accanimento terapeutico e l’eutanasia. Senza offrire risposte, lo spettacolo interroga lo spettatore sulla forza e la grandezza del sentimento d’amore”.
    Note dell’autore e regista César Brie

    Ancora uno sguardo alla contemporaneità con uno spettacolo caldamente consigliato a chi voglia partecipare a un dibattito estremamente importante e delicato e a chi a teatro ama emozionarsi.

    In “Orfeo e Euridice”, realizzato in collaborazione con la compagnia Eco di Fondo, César Brie dirige due intensi interpreti, Giacomo Ferraù e Giulia Viana, che scelgono di mettere in scena un tema controverso e di certo molto urgente nella società attuale: quello dell’eutanasia.

    La narrazione parte da atmosfere molto quotidiane: due ragazzi si incontrano, si confrontano, si amano, vivono insieme. Poi un incidente stradale li divide, senza tuttavia separarli davvero: l’intervento tempestivo dei medici strappa la donna dalla morte, senza riuscire però a riportarla alla vita e condannandola quindi ad una dimensione sospesa in cui è difficile dire quanto si preservi la dignità dell’essere umano.

    Al riguardo lo spettacolo prende una posizione molto netta, definendo i sette anni di coma della donna come una mera “umiliazione”: la si vede così letteralmente strappata alla morte con atti violenti che interpretano interventi chirurgici raccapriccianti, e ancora è mostrata come burattino inanimato maneggiato da chi si ostina a considerarla ancora un essere umano, quando la sua anima tenta altrove una nuova esistenza.

    “Lasciami andare” è la supplica della donna al compagno, il quale è tuttavia messo nelle sue stesse condizioni di impotenza da una legge che basa le proprie decisioni su continue contraddizioni che in nessun modo sanno risolvere una questione tanto complessa, quanto urgente.

    Su tutto questo si innesta il mito di Orfeo e Euridice, rievocato non a fini narrativi ma per contrapporre alla visione medica dell’uomo definito come corpo biologico, uno sguardo spirituale che non si limiti alla morale cattolica, ma che attinga dall’antichità un senso della sacralità della vita e della morte più esteso, condivisibile probabilmente anche da chi non creda in Dio, ma coltivi comunque una devozione verso i cicli stabiliti dalla natura, che forse troppo spesso oggi violiamo.

    È questo probabilmente l’aspetto più interessante dello spettacolo: la capacità di una riflessione spirituale che evita il problema dei dibattiti religiosi e si appella a un senso della vita più ampio.

    Tra scene che stigmatizzano ora con corrosiva ironia spietati comportamenti umani, ora con toccante drammaticità la sofferenza della vita quotidiana, si aprono così quadri surreali che tentano di rappresentare la dimensione sospesa in cui i protagonisti si muovono, come Orfeo ed Euridice, in quel lungo o breve cammino che collega e separa la realtà materiale da quella ignota in cui ci porta la morte, che forse non dovremmo lasciar giudicare dalla nostra paura.
    Nonostante gli autori si schierino dunque con forza in favore dell’eutanasia, lo spettacolo ha il pregio di non appoggiarsi ad alcuna ideologia. Si parte infatti dalla prospettiva nuda di chi vive in concreto il dramma e si dà poi voce a entrambe le parti, attraverso personaggi non deformati da alcuna retorica.

    Proprio questa assenza di enfasi e questa aderenza alla realtà rendono lo spettacolo particolarmente commovente. In sala gli spettatori entrano subito in empatia con i protagonisti, si emozionano con loro, piangono con loro con una intensità che raramente si riscontra in teatro. Merito di un testo che riesce ad evitare sapientemente tutte le trappole cui un tema tanto scottante può indurre.

    Merito anche di una regia sobria ma coraggiosa, capace di trovare molte soluzioni simboliche d’efficacia anche per descrivere situazioni molto concrete. E merito infine di un’interpretazione lodevole da parte dei due attori, in grado di affrontare con bravura, realismo e sensibilità anche scene molto difficili. Particolarmente versatile soprattutto Giacomo Ferraù, che regala ora momenti di brillante umorismo, ora scene di vera partecipazione emotiva, dimostrandosi capace di caratterizzare personaggi diversi con realismo e naturalezza.

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