ARCHIVIO SPETTACOLI

    Quattro buffe storie, G. Mauri (2015)

    Titolo: Quattro buffe storie
    Regia: Glauco Mauri

    di Luigi Pirandello e Anton Cechov
    regia GLAUCO MAURI
    scene GIULIANO SPINELLI
    Compagnia Mauri Sturno

     

    “Dire cose utili divertendo”, come diceva Orazio, potrebbe essere il sottotitolo di Quattro buffe storie, spettacolo tratto da opere di Cechov e Pirandello legate insieme dalla “comica follia” dei personaggi.
    La tenerezza di Cechov e il graffio di Pirandello si compenetrano tanto profondamente da non poterne discernere i confini, dando vita ad un sorprendente caleidoscopio dove è rappresentata la vita di quello strano e buffo essere che è l’uomo.
    Nei folgoranti atti unici di Pirandello, la comicità e il grottesco sono lo specchio deformante della realtà, vista con la “pietas” per i suoi personaggi.
    Ne La patente vive una delle tematiche più care all’autore siciliano: il contrasto tra ciò che veramente siamo e ciò che invece gli altri pensano di noi. L’uomo, a volte, per sopravvivere, è costretto a mettersi una maschera che gli è stata plasmata dagli altri.
    Chiàrchiaro, il protagonista della storia, per i pregiudizi, l’ignoranza e la cattiveria della società è condannato a una finzione che diventa per lui l’unica risorsa possibile di vita. Qui dramma e farsa convivono in un’amara risata.
    E Cecè, il personaggio dell’omonimo atto unico concepito e scritto da Pirandello direttamente per il teatro nel 1913, è il degno rappresentante di una società frivola e corrotta, dove ingannare e imbrogliare è la normalità.
    Ambientato in una Roma (come oggi?) invischiata in scandali e allegra corruzione politica, esplode un’insolita, divertentissima “pochade” in cui il cinismo di una situazione diventa non solo fonte di comicità ma anche di condanna.
    Un’ironia grottesca è sempre alla radice sia delle opere immortali di Cechov che di alcuni suoi brevi atti unici come in Una domanda di matrimonio – scherzo in un atto– così lo sottotitola lo scrittore. Un’invenzione di una comicità al limite dell’assurdo che rappresentata a Mosca nel 1889, fu da L.N. Tolstoj così definita: “La domanda di matrimonio è la personificazione della comicità”.
    Anche in Fa’ male il tabacco (certamente un piccolo capolavoro) il grottesco dona in modo mirabile quella “leggerezza” che, anche nel dramma, Cechov chiedeva ai registi e agli interpreti delle sue opere.
    Una conferenza sui danni che provoca il tabacco, sfocia nella confessione di una triste vita, inutile e meschina. E il grottesco di Cechov diventa poesia.

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