Facciamo nesso con Bergonzoni

Sguardazzo/recensione di "Nessi"

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Cosa: Nessi
Chi: Alessandro Bergonzoni
Dove: Firenze, Teatro Puccini
Quando: 08/11/2014
Per quanto: 95 minuti

Chissà cosa afferra, il pubblico di Alessandro Bergonzoni. Le parole si piegano, declinano, accavallate in detti e contraddetti, continui slittamenti di senso, tra arguzia, gioco e rivelazione. Meccanismo noto: non è certo all’artista bolognese che si possa attribuir primati in tal senso, se non riconoscergli un indiscutibile valore nell’ambito della sua specifica disciplina. Perché, sia chiaro, si tratta davvero d’un gran bell’attore, pure cresciuto negli ultimi anni: in potenza, polifonia, versatilità, più di quanto l’idea (astratta) della sua opera conceda immaginare. E il pubblico, che lo (ri)conosce e apprezza per le ardite doti affabulatorie, lo segue (ci prova), sottolineando i passaggi più comici, ergo comprensibili, con risate e applausi.

Torna in scena dopo tre anni: linea non dissimile da Urge (2010), ove l’esondazione verbale dilagava nei campi della necessità, della presa di coscienza, della chiamata all’armi d’un impegno che non fosse attualistico, banalizzato, promozionale. Ecco la ragione della cattività scenica o, meglio, della distanza dal piccolo schermo: il teatro di Bergonzoni mai potrebbe attagliarsi sua sponte alla carneficina dei tempi tv, la loro brutalità violenta, la loro intima volgarità. Servono corpo, voce, presenza, serve esserci. Il discorso, da solo, non basta: saremmo nel letterario e Bergonzoni, invece, è attore, attautore, interprete che si fa carico d’un discorso, artista che lavora su e con il senso. Persino, se possibile, oltre la forma, in qualche modo sedimentata, d’una pratica scenica cui ormai non difetta il collaudo.

Bergonzoni, Nessi, 2014Parte dal buio. Nel buio. La voce off dialoga sul filo del paradosso a proposito d’un quadro elettrico da attivare. Preludio alla luce. Lo spazio ingombro di fumo accoglie e fascia un Bergonzoni più magro, macilento di come lo ricordavamo. Mani infilate all’interno del vetro di un’incubatrice; altre due macchine analoghe ai lati. Performance non solo verbale: lui si muove, avanza e arretra sul palco, spinge e trascina le attrezzature alla stregua di carrelli; talvolta, estrae le mani dalle feritoie, ondeggia gli arti nell’aria, tracciando lo spazio. L’incubatrice è icona di nascita, tema portante del lavoro, polo attrattivo d’una poetica che indaga la profonda ed estrema dimensione della vita come legame, relazione, ineluttabile inseparabilità. Nesso, appunto.

Non c’è distanza, alterità: tutto è tutto, assunto che è il contrario della banalizzazione fricchettona in cui tutto vale tutto. È, bensì, approdo panteistico, sofferto e gioìto, atomica fusione di dolore e giubilo, pianto e riso, morte e vita. Ed è questo il dubbio che coglie alle prese d’un attore che è artista, ma pure sacerdote (del resto, in Urge, professava voto di vastità), predicatore d’un umanesimo impossibile e abbacinante: quanto il pubblico, il suo pubblico, afferra di tutto ciò? Troppo facile restare avviluppati nella rete sapiente di tanto virtuosismo, verbale e declamatorio. Guardare il dito e trascurar la luna.

L’applauso è scrosciante, convinto premio ai vari bis concessi, dosando umorismo, stralci di repertorio e il testo Le vite in fasce, quadratura di questo Nessi, ambizioso quanto sottile, adamantino, mercuriale. Chissà cosa afferra il pubblico, cosa capiamo noi, di tutto questo. E quanti siano disposti, davvero, a farsi cambiare da uno spettacolo. Dal canto suo, Alessandro Bergonzoni non può far altro che quello che fa. Non è poco.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... un'opera lirica sarebbe... un romanzo di Queneau musicato da Edgar Varèse

Locandina dello spettacolo



Titolo: Nessi

di e con Alessandro Bergonzoni
regia Alessandro Bergonzoni e Riccardo Rodolfi
produzione Allibito Srl


Nessi, ovvero connessioni ma anche fili tesi e tirati, trame e reti, tessute e intrecciate per collegarsi con il resto del pianeta. O meglio dell’universo. Perché infatti è proprio questo il nucleo vivo e pulsante del nuovo spettacolo dell’artista bolognese: la necessità assoluta e contemporanea di vivere collegati con altre vite, altri orizzonti, altre esperienze, non necessariamente e solamente umane che ci possono così permettere percorsi oltre l’io finito per espandersi verso un “noi” veramente universale. Bergonzoni, per questo quattordicesimo spettacolo da lui scritto e interpretato e diretto in coppia con Riccardo Rodolfi, si trova quindi in un’assoluta solitudine drammaturgica, al centro di una cosmogonia comica circondato da una scenografia “prematura”, da lui concepita, alle prese con un testo che a volte potrebbe anche essere, e questa è una vera e propria novità, una candida e poetica confessione esistenziale. Senza per questo rinunciare alla sua dirompente visione stereoscopica che è diventata, in questi anni, materia complessa, comicamente eccedente e intrecciata in maniera sempre più stretta tra creazione-osservazione-deduzione. Ma sicuramente i “Nessi” bergonzoniani, e la loro conseguente messa in scena, ci mostreranno quel personalissimo disvelamento, di fatto la vera cifra stilistica di questo artista, che porta molte volte anche grazie ad una risata, dallo stupore alla rivelazione.

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.