Ma chi vi sente?

Sguardazzo/recensione di "Tropicana"

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Cosa: Tropicana
Chi: Francesco Alberici, Daniele Turconi, Claudia Marsicano, Salvatore Aronica
Dove: Cascina (PI), La Città del Teatro/Politeama
Quando: 25/01/2019
Per quanto: 55 minuti

«Nessuno ascolta un cazzo». E potremmo fermarci qui.
Oppure no.

Difficile rendere bene conto della scrittura singolar-corale in cui la palpabile urgenza di Francesco Alberici (intravisto con Il cielo non è un fondale) trova solidissimo contrappunto in Daniele Turconi, Claudia Marsicano e Salvatore Aronica. Difficile parlarne, perché si tratta d’un lavoro sul e in (perenne) collasso, ove l’accanirsi sulla forma stessa della rappresentazione s’accompagna a una visione venefica dell’uomo e della nostra contemporaneità. Che, poi, pare la stessa di trent’anni fa, epoca in cui si svolgerebbe la vicenda (non) narrata. Condizionale d’obbligo: nell’antro verde chroma key che ci ferisce gli occhi, la storia è un continuo accavallarsi di piani, tra il qui-e-ora della performance, con gli attori a “recitar sé stessi”, e gli anni Ottanta in cui venne composta Tropicana, appunto, canzone tra le più celebri del periodo.
Sembra un caos: in realtà lo è, ma garantiamo che, nel vivo della performance, tutto è fluido, ingegnoso e pure divertente.

Turconi, esile, casual, entra. Sistema uno dei due microfoni sulla rispettiva asta, strimpella una chitarra. Buio. Eccoli: schierati in due file, occhiali scuri, avvolti e rivolti verso il fascio arancione, intensissimo, atomico, da destra. «Come sarà la fine?». Ognuno offre la propria ipotesi. Sono, e non sono, il Gruppo Italiano, formazione che, nel 1983, sforna un fortunatissimo tormentone, scivolando poi, qualche anno dopo, in quell’anonimato che pareva presagito, come d’obbligo, dal nome stesso.
Niente filologia né ricostruzione storica, non questo preme ad Alberici, bensì un articolato discorso sulle ragioni stesse di (provare a) fare arte, sulle sue condizioni produttive, sul mercato e le sue ciniche necessità. E sulla totale, disarmante assenza di ascolto vero, da parte degli spettatori. Che siamo noi, ma sono anche loro. Che siamo tutti.

Quasi quarant’anni a sculettar contenti sulle note d’un pezzo, ricordandone solo il ritornello che immortala gente inebetita da una pubblicità televisiva, mentre all’esterno si consuma un disastro nucleare: Tropicana diviene, così, figura del (nostro) tempo, particolare che rimanda a un’universale d’indifferenza, vacuità, pneumatica impossibilità di “valere” la vita che ci troviamo a menare. Finendone menati, mancando alla prova, un po’ come la scalcagnata formazione che, nel piano finzionale, s’affaccenda in scena.
Mirabile la parte in cui Turconi, strumentista leader, prova a contenere la portentosa vocalità di Marsicano, sequenza che chiunque abbia mai fatto prove non può che riconoscere: la divaricazione degli intenti dei due non può che sfociare in uno scontro, spassosissimo.
I sintagmi della vicenda recitata sono costantemente in bilico, frantumati dall’irruzione dell’ora: talvolta, nella forma d’un a parte, in cui il singolo racconta i motivi per cui si trova in scena. Quelli veri. Toccante Marsicano e i suoi dubbi sulla sensatezza della vita d’artista (frattanto è arrivato un Premio Ubu), buffo Aronica, out sider ruffianello, che presto s’aggiudica l’affetto della sala.

Ritroviamo, in questo lavoro lancinante, tracce d’un discorso comuni pure all’Overload di Sotterraneo e alla rarefazione drammaturgica dei già evocati Deflorian-Tagliarin. Ma rispetto a questi ultimi, avvitati e specchiati in un’eccepibile forma funzionante, ci pare emergere, qui, l’abrasione definitiva, l’urgenza bruciante e imbelvita, estesa allo stesso farsi teatro del discorso scenico, di quel Mondo cane di Turconi (come qui Frigoproduzioni) che ci folgorò tre anni fa (non fummo soli), ed è questo che vorremmo trovare, sempre, in scena.
Applausi convintissimi, per una volta concordi a quelli degli spettatori.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... una lesione sarebbe... una frattura esposta

Locandina dello spettacolo



Titolo: Tropicana

creazione collettiva a cura di: Francesco Alberici
aiuto regia: Daniele Turconi, Claudia Marsicano
drammaturgia di: Francesco Alberici
interpreti: Claudia Marsicano, Daniele Turconi, Salvatore Aronica, Francesco Alberici
con il supporto di: Pim Off / Residenza IDra e Settimo Cielo nell’ambito del
un progetto di FRIGOPRODUZIONI
progetto CURA 2016


Tropicana è un brano del Gruppo Italiano.

Su un calypso orecchiabile e ritmato si innesta un testo di tutt’altra natura: la canzone descrive infatti un’apocalisse, alla quale i presenti assistono senza quasi rendersene conto, perché si sentono “come dentro un film” e in televisione sta passando la pubblicità di una bibita: la Tropicana, appunto.

La dimensione ossimorica del brano, basata sul contrasto tra musica e testo, rispecchia la fortuna del brano stesso: dopo aver dominato le classifiche dell’estate 1983, anno di uscita, è diventato un brano simbolo dell’estate tout-court, passando alla storia come inno alla leggerezza estiva, ballo di gruppo per eccellenza e immancabile colonna sonora di ogni villaggio turistico. Mentre l’angosciante tematica del testo è passata completamente in secondo piano.

Tutti l’hanno ballata, nessuno l’ha mai veramente ascoltata. In questo fallimento comunicativo consiste la magia di quest’opera. Prima di studiarla con attenzione assieme agli altri, l’ho sempre ascoltata superficialmente. Tuttavia ha sempre ingenerato in me uno stato di angoscia. Da una parte credo che la mente afferrasse inconsciamente alcuni termini legati alla distruzione, dall’altra questo brano (per me, che nel 1983 ancora non esistevo) si lega a un immaginario distorto; sia sul piano pubblico (gli anni ottanta, la decadenza dei costumi, la nascita della televisione berlusconiana, l’inizio dell’ascesa del PSI craxiano, che lentamente porterà alla disfatta della Prima Repubblica, la paura dell’atomica) che su quello privato (Tropicana rappresenta la dimensione della festa costante e quasi obbligatoria, della spensieratezza disimpegnata, del divertimento da villaggio; dimensione dalla quale mi sono sempre sentito distante ed escluso, non tanto per scelta quanto per inadeguatezza).

L’inquietudine nascosta di questo brano è quasi inafferrabile, avvolta com’è in una confezione leggera e ridente, ed effettivamente sfugge. Il concetto di un’angoscia, di un problema, di cui si percepisce la presenza, ma che non si riesce a identificare con chiarezza, tocca un mio (un nostro) nervo scoperto. Per questo abbiamo scelto di lavorare su questo brano. Tropicana è prima di tutto uno studio su delle persone che fanno una ricerca, cercano un senso che sfugge: il significato del proprio agire. E lo fanno indagando l’essenza di una canzone apparentemente leggera e disimpegnata. Con affanno cercano uno svelamento. Di che parla davvero questa canzone? Perché nessuno ci ha mai fatto caso? Perché in così pochi ascoltano? E a che serve indagare questo brano? In quest’era utilitaristica se qualcosa non serve a niente è inutile, dunque non ha senso. Che senso ha dunque il nostro lavoro di ricerca, il nostro lavoro teatrale e culturale?

Tropicana è un’immersione negli abissi, nel nero nascosto di una canzone. E la ricerca di un punto di contatto tra quel nero e questo attuale che ci sommerge.

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.