Haber e il visitatore: l’intrattenimento mascherato da filosofia

Sguardazzo/recensione di "Il visitatore"

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Cosa: Il visitatore
Chi: Valerio Binasco, Alessando Haber, Alessio Boni
Dove: Lucca, Teatro del Giglio
Quando: 07/02/2015
Per quanto: 100 minuti

Continua la stagione di prosa del Teatro del Giglio: il quinto appuntamento vede Alessio Boni e Alessandro Haber protagonisti di Il visitatore. Il pubblico è accorso e il teatro lucchese è gremito per i due attori di grande richiamo diretti da Valerio Binasco, uno dei registi più apprezzabili dell’attuale panorama italiano.

Il testo, scritto dal belga Éric-Emmanuel Schmitt, è stato rappresentato per la prima volta nel 1993: ambientato nella Vienna invasa dai nazisti, racconta dell’incontro tra un anziano Sigmund Freud e un visitatore misterioso. In realtà, lungi dall’essere un grande dilemma, l’inatteso ospite è Dio: per un po’ possiamo fantasticare sulle varie interpretazioni da dare a questa apparizione (l’Es freudiano, ipotizziamo: quella componente dell’identità che rimane nascosta e schiacciata dall’Io e dal Super-Io), ma ben presto Schmitt ci nega il piacere di questo gioco di recondite interpretazioni.

Vecchio e tremulo, il Freud tratteggiato da Haber è forse più bradipo del necessario, ma comunque godibile. Vive con la figlia Anna, anch’essa brillante studiosa, interpretata da una Nicoletta Robello Bracciforti decisamente sopra le righe. Lo spettro della dittatura hitleriana che incombe sullo psicanalista è incarnato nel soldato che, di tanto in tanto, irrompe in casa e che trascina alla Gestapo la figlia di Freud. È Alessandro Tedeschi che interpreta il nazista – di cui si adombra, prima, un’omosessualità repressa, e, dopo, una possibile discendenza ebraica – con spirito macchiettistico, ma tutto sommato simpatico.

Alessio Boni e Alessandro Haber, Il visitatore, Binasco (ph. no credit)È interessante la scelta scenografica: l’ambiente unico, disegnata da Carlo De Marino, è l’appartamento di Freud, con pochi elementi di arredo e pareti colore pastello. L’ambiente, però, è molto piccolo e, in un’intuizione pseudo-brechtiana, lascia a vista i sistemi di sostegno e le luci sovrastanti, nonché una larga porzione di fondale nero sulla destra. Proprio da questa oscurità appare Alessio Boni: probabilmente già lì, non visto, dall’inizio dello spettacolo, fa capolino dal telo nero in cui è avvolto, come un clochard svegliato dalla recitazione delle prime scene in casa Freud. Ha la barba lunga e a tratti ingrigita (potremmo dire che si è haberizzato) e veste gli abiti sdruciti e pesanti, proprio come un senzatetto. Il bel volto del teatro italiano incarna un Dio sovreccitato dalla sua forma umana (suscita grandi risate quando si sorprende perché, dopo aver bevuto, deve «fare la fontana»), ma lucido e chirurgico nei dibattiti con Freud.

Proprio in questi ragionamenti lo spettacolo sembra cercare il suo senso: in apertura, Freud dispensa pillole di saggezza, tra un sintomo della vecchiaia e l’altro, e, nella parte centrale, la disputa tra religione e ragione sembra volare alto. Il punto debole del lavoro, a nostro avviso, sta proprio qui: non solleva domande né per interrogare la coscienza del pubblico né per mettere in dubbio certezze. La discussione, abbastanza sterile (perché, in termini più semplici, familiare alla sensibilità comune) serve soprattutto a “dare un tono” alla messinscena. È intrattenimento, ma – cosa ben peggiore – si vergogna di esserlo e attinge a grandi dibattiti filosofici per mascherarsi da qualcos’altro.

Il prossimo appuntamento del teatro lucchese è con la lirica: Il barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini andrà in scena il 14 e 15 febbraio. La stagione di prosa, invece, continua nel fine-settimana successivo con Sarto per signora, con Emilio Solfrizzi, per la regia dello stesso Valerio Binasco (20-22 febbraio).

(Recensione pubblicata su La Gazzetta di Lucca il 9 febbraio 2015)

VERDETTAZZO

Perché: Sì, oppure no
Se fosse... un libro sarebbe... il cartonato dell'opera omnia di Nietzsche

Locandina dello spettacolo



Titolo: Il visitatore

di Éric-Emmanuel Schmitt
con Alessandro Haber e Alessio Boni
e con Alessandro Tedeschi, Nicoletta Robello Bracciforti
musiche Arturo Annecchino
scene Carlo De Marino
costumi Sandra Cardini
produzione Goldenart


Aprile 1938. L' Austria è stata da poco annessa di forza al Terzo Reich, Vienna è occupata dai nazisti, gli ebrei vengono perseguitati ovunque. In Berggstrasse 19, celeberrimo indirizzo dello studio di Freud (Alessandro Haber), il famoso psicanalista attende affranto notizie della figlia Anna, portata via da un ufficiale della Gestapo. Ma l'angosciata solitudine non dura molto: dalla finestra spunta infatti un inaspettato visitatore (Alessio Boni) che fin da subito appare ben intenzionato a intavolare con Sigmund Freud una conversazione sui massimi sistemi. Il grande indagatore dell'inconscio è insieme infastidito e incuriosito. Chi è quell'importuno? Cosa vuole? È presto chiaro che quel curioso individuo non è un ladro né uno psicopatico in cerca di assistenza. Chi è dunque? Stupefatto, Freud si rende conto fin dai primi scambi di battute di avere di fronte nientemeno che Dio, lo stesso Dio del quale ha sempre negato l'esistenza. O è un pazzo che si crede Dio? La discussione che si svolge tra il visitatore e Freud, e che costituisce il grosso della pièce, è ciò che di più commovente, dolce ed esilarante si possa immaginare: Freud ci crede e non ci crede; Dio, del resto, non è disposto a dare dimostrazioni di se stesso come se fosse un mago o un prestigiatore. Sullo sfondo, la sanguinaria tragedia del nazismo che porta Freud a formulare la domanda fatale: se Dio esiste, perché permette tutto ciò?

Andrea Balestri
Non è il Pinocchio di Comencini. Apparentemente giovane, studia teatro (non solo) musicale tra Pisa e Roma. Serie tv, pulizie e viaggi in treno occupano il resto della sua vita. Archivia i ricordi in congelatore e si lava i capelli tutti i giorni.