Dio, tra le pieghe del linguaggio

Sguardazzo/recensione di "Il regno profondo. Perché sei qui?"

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Cosa: Il regno profondo. Perché sei qui?
Chi: Claudia Castellucci, Chiara Guidi, Societas
Dove: Lucca, Teatro del Giglio
Quando: 27/11/2021
Per quanto: 45 minuti

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Quaranta minuti da scolpire su pietra. Tutt’altro che facili, o leggibili, ma non sta scritto in nessun dove che teatro e arte debbano essere, per forza, facili o leggibili. 

Una luce lattiginosa e calda rischiara un quadrato soprelevato dal palco, scena nella scena. Viene abitato da due presenze muliebri, larvatamente inquietanti, identicamente e pudicamente vestite: maglioncino, gonna castigata, quaderno sotto braccio, come testimoni di Geova in attesa di prede. In sottofondo, rumori, studiatissimi.

Si danno un la, le due, promanando un discorso unico a due voci: la minima piegatura tonale è perfettamente riprodotta all’unisono, in simbiotica esecuzione corale. Cantano, e parlano, dipanando una beffarda interrogazione all’indirizzo d’un terzo che, ovviamente, non c’è. Non replica. La lingua è delicata, caricaturale, sporcata quanto basta d’un che di romagnolo, senza mai parodiare. Nondimeno, la questione è eterna, consustanziale; riguarda Lui, Dio, presenza/assenza alla stregua di quel God(ot) destinato a mai manifestarsi. 

«Mi sento girare… mi sento girare…», ritornello che punteggia il dettato, lo àncora a una dimensione logica, eppure sfuggente. Due Parche, come le streghe ghignanti di Macbeth ad annunciare trono e sventura, queste due puntualissime coreute, voci incarnate d’una drammaturgia post-absurdista: il testo è di una, Claudia Castelucci, e risale a una ventina d’anni fa; dell’altra, Chiara Guidi, le scelte ritmiche, e musicali, a rendere la performance più densa e abbacinante di quanto non facciano le sole parole. Questa una delle lezioni più presenti nel lavoro di Guidi: non v’è parola senza suono, e non v’è suono senza intonazione; ecco dunque il cesellare le sillabe, ora squadrate ora levigate, calibrando la minima modulazione.

Dio non replica, è muto, o morto, o chissà dove, fulcro eterno e ineludibile per millenni di pensiero occidentale. Lo squittio questuante s’avviluppa nei tranelli del linguaggio, il dialetto si fa più marcato («Me sento cattiva…»): a noi “mortali” sovvengono certe cose di Antonio Rezza, private, però, del lubrificante zuccarino della comicità. La desolazione sembra la medesima, e forse pure il disisperato cinismo che, chiuso il primo segmento testuale, proietta sul fondale una serie di pubblicità testuali dal sapore brechtiano, anticipate dall’avviso «Pubblicità volontaria. Se vedi, leggi. Se leggi, comprendi», sottolineando la condanna insita nel linguaggio (una volta appreso a comprendere, non si può disimparare).

È sempre il linguaggio tra i fulcri degli altri due brani, ove il discorso a due voci muta in dialogo, confronto aspro, a tratti angosciante: «Come ti chiami?», reiterato allo sfinimento, a esaurirne i sensi possibili, interrogando la lingua stessa, la parola, la sua intenzione, la sua posizione rispetto a chi la pronuncia. 

Non c’è traccia di virtuosismo né di compiacimento per una performance tanto ieratica da giustificare tale sospetto: il tutto ha una sua intima necessità, e la forma, potente quanto inafferrabile, fa pensare al teatro greco antico, così distante, e inumano
In conclusione, la separazione diviene spaziale: Chiara esce dal quadrato, al termine di un’ulteriore tirata, questa volta sul saluto, «Ciao». Se ne va, minuta, quasi alla chetichella, eppure è uno scossone.

Raro, rarissimo assistere a del teatro tanto antico, nel senso più profondo del termine, antipodico a “sorpassato”, come quello della Societas. Uno spettacolo (lo si ascolti qui) che, in quanto grande opera, ha bisogno di tempo, e cura, per essere assimilato, dinamica pressoché sconosciuta, ormai, ai nostri tempi.
Non si poteva chiudere in modo migliore, questa serie di Lucca Visioni.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... un fenomeno atmosferico sarebbe... un’alba boreale

Locandina dello spettacolo



Titolo: Il regno profondo. Perché sei qui?

lettura drammatica

scritto da Claudia Castellucci
regia vocale Chiara Guidi
interpretato da Claudia Castellucci, Chiara Guidi

musiche Scott Gibbons, Giuseppe Ielasi

fonica Andrea Scardovi
tecnica Francesca Di Serio, Eugenio Resta, Andrea Scardovi

organizzazione Elena De Pascale
produzione Societas

foto Luca Ghedini


Perché sei qui?” è la prima di molte domande che due ‘luogotenenti’ arroccate su un podio si scambiano. Sono domande elementari, di discorsi ancora più poveri, ma se vi si badasse, come è qui il caso, si aprirebbero crepacci sulla superficie sicura della loro quotidianità. L’abitudine delle cose quotidiane entra all’improvviso nel turbine del dubbio radicale, e la logica stringente cui le due figure si sottopongono è captata da un’ironia che pretende onestà. Le due figure sono ‘luogotenenti’ perché presidiano un luogo su cui sono arroccate, simbolo di fermezza circa il compito di difendere la logica del loro ragionare. L’unico motore, su cui tutto ruota, è la generazione continua di domande insaziate da provvisorie risposte, comprese quelle fornite dalla religione, che pure è la scienza del definitivo. Il carattere scettico e vedovile del dialogo rifluisce in un mare comico che lascia perplessi. La forma di teatro scelta per questo spettacolo recupera il dialogo didascalico classico, per la rappresentazione di un mondo privo di peso, dove ‘non succede niente’, come si suol dire. La metrica delle frasi serve a conferire velocità crescente alle domande, e la ricerca idiomatica para-dialettale inventata da Chiara Guidi fa abitare in ambienti domestici e ‘bassi’ la loro risonanza. Le asprezze vernacolari tingono di sangue le vette glaciali di un ragionamento sofisticato che ridiventa primitivo e sfacciato. Perché sei qui? è la terza parte del ciclo Il regno profondo di Claudia Castellucci, dopo La vita delle vite Dialogo degli schiavi.

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.