Fotofinish, o l’abuso psico-fisico sullo spettatore

Sguardazzo/recensione di "Fotofinish"

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Cosa: Fotofinish
Chi: Antonio Rezza
Dove: Firenze, Teatro Puccini
Quando: 28/03/2015
Per quanto: 85 minuti

Come possono arlecchini come noi, che facciamo dell’irriverenza la nostra più tagliente arma, non apprezzare l’ironia sadica e violenta di un personaggio controverso come Antonio Rezza? Amatelo oppure odiatelo, ma non potete certo rimanere pacatamente neutrali; dal canto nostro, ci impegneremo oggi a esporvi il motivo del nostro apprezzamento.
In Fotofinish (lavoro del 2003) l’ironia mordace, graffiante, intacca inizialmente la serenità delle prime file, per poi avventarsi sull’intera platea, disprezzando lo spettatore, che diviene un tipo umano ben delineabile, in balia degli assalti del performer.

Filo conduttore la fotografia, che di tanto in tanto ritorna, distorto, senza però dare una continuità forzata ad un’operazione volutamente frammentaria, basata su quadri narrativi intarsiati nella stoffa di Flavia Mastrella; quadri che certo si legano in modo più fluido di quanto non accadesse (ad esempio) in Pitecus, ma non per questo pretendono di rifarsi a una cornice razionale.

03 Antonio Rezza, 'Fotofinish' (2003)Altro tema che spesso si ripresenta, la (omo/etero)sessualità: affrontata senza alcun pudore, esasperata nelle sue varie accezioni, dallo scambio verbale (che più di uno scambio è un monologo rezziano, spesso di fronte al solo funzionale Ivan Bellavista) all’effettivo atto sessuale (signori non abbiate timore, lo si simula soltanto!).
E poi ancora, la meravigliosa maratona cristiana, con tanto di incredibili scorci fotografici, che ora si concentrano sul particolarissimo dettaglio della croce, ora permettono una visione globale della competizione, e solo assistendovi potrete comprendere l’emozione di osservare una così valente prova agonistica.

Performance vivace, (fin troppo) coinvolgente, dobbiamo tuttavia sottolinearne l’unica pecca: il sonoro. Il microfono fischia, sfrigola, si spegne, si riaccende, raschia: fastidioso per le prime file, immaginiamo insostenibile per le ultime, trovandoci d’altro canto in uno spazio ampio. Il performer dapprima ignora il disagio, poi tenta a più riprese di risolvere il problema, vedendosi infine costretto a recitare “a voce reale”, per il sollievo di buona parte della platea.

03 Antonio Rezza e Ivan Bellavista, 'Fotofinish' (2003)Malgrado questo disagio, lo straripante carisma dell’attore non può non colpire lo spettatore, che in certi casi ne rimane sconvolto, talvolta accogliendo positivamente la provocazione, talvolta incapace di sopportare tali affronti alla propria persona, e in questi casi ci sentiamo di dire: ma signori, il teatro non è che un gioco, ridetene e non abbiatene timore!

Certo a Fotofinish, così come ad ogni altra opera a firma Rezza/Mastrella, non è applicabile un criterio descrittivo razionale, e non si può nemmeno procedere propriamente per temi, né ricomporne tutti i quadri, e per questo forse il modo più corretto (l’unico che valga la pena di usare?) di scriverne è per scorci espressionistici, tentando insomma di suggerire l’atmosfera in cui il malcapitato spettatore si trova immerso. E allora immaginate di essere denigrati, sbeffeggiati, privati di capi di vestiario che l’artista, infuriando nella platea, lancia violentemente da un lato all’altro del teatro, e, infine, uccisi.

Uccisi su quel palcoscenico dove tutto è possibile, dove vita e morte non sono mai completamente disgiunte, e dove adesso − ma come è accaduto? − siete divenuti parte della performance: cadaveri ora integrati in un contesto narrativo squisitamente irrazionale.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... l'espressione di un giudizio sarebbe... uno sputo in pieno viso

Locandina dello spettacolo



Titolo: Fotofinish

FOTOFINISH
di Flavia Mastrella, Antonio Rezza
(mai) scritto da Antonio Rezza
allestimento scenico Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
con Ivan Bellavista
disegno luci Mattia Vigo
prodotto da Flavia Mastrella e Antonio Rezza


È la storia di un uomo che si fotografa per sentirsi meno solo. Apre così uno studio dove si immortala fingendosi ora cliente ora fotografo esperto. E grazie alla moltiplicazione della sua immagine arriva a credersi un politico che parla alla folla. Una folla che non c’è. Ma che lo galvanizza come tutte le cose che non avremo mai. Tra un comizio e l’altro arriva a proclamarsi costruttore di ospedali ambulanti che si spostano direttamente nelle case dei malati. Ed all’interno di questi ospedali c’è sempre lui: sotto le vesti del primario, sotto quelle del degente e sotto quelle delle suore cappellone che sostituiscono la medicina con gli strumenti della fede. Ben presto, grazie all’inflazione della sua immagine, è convinto di non essere più solo. E continua nelle sue scorribande politiche delegando se stesso alla cultura per costruire impossibili cinema dove l’erotismo differisce dalla pornografia solo per qualche traccia labile di dialogo. Ed ipotizza incendi e sciagure, ipotizza uscite di sicurezza per portare in salvo lo spettatore medio che lui stesso rappresenta. Di tanto in tanto torna dal fotografo che è per costringersi a scattarsi nuove foto. Ed impazzisce a poco a poco. Ma mai completamente. Nel pieno del suo delirio auto presenzialista arriva a farsi donna con tutta la sua nudità camuffata; e a farsi uomo, pensandosi ora l’una ed ora l’altro, immaginando di uscirsi insieme per rientrarsi accanto. E come politico sblocca ogni piano regolatore per regalarsi una casa ambulante, come gli ospedali, come la disperazione di chi tenta di imbrogliar se stesso. E solo quando è costretto a mettere un cane a difesa della sua abitazione capisce di esser solo e di essere lui quel cane posto a tutela della proprietà. Ma con un colpo di coda inaspettato torna da cane a politico ed accusa gli elettori di non aver capito. Di non aver capito che nulla è mai esistito. L’unica cosa che esisteva era la sua solitudine. Che non può essere fotografata perché la solitudine è l’assenza di chi non ti è vicino.

Sara Casini
Sedicente studentessa universitaria, apparentemente giovane: nella realtà ha almeno il doppio degli anni e il triplo della malvagità dimostrate dagli occhioni azzurri e il sorriso inoffensivo.