Il grande dittatore, o l'(in)attualità

Sguardazzo/recensione di "Il grande dittatore"

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Cosa: Il grande dittatore
Chi: Massimo Venturiello, Tosca, Lalo Cibelli
Dove: Lucca, Teatro del Giglio
Quando: 19/12/2015
Per quanto: 100 minuti

Il grande dittatore, regia di Giuseppe Marini e Massimo Venturiello.
Non possiamo, ovviamente, accingerci a criticare questa commedia musicale (il primo adattamento scenico del film) senza far riferimento al capolavoro cui essa, più che ispirarsi, si aggrappa disperatamente. Uscito nel 1940 (in Italia solo dal 1946), si tratta del primo film sonoro di Charlie Chaplin e, soprattutto, il primo in cui Charlot pare scomparire, quasi divorato dall’immersione nella storia, nella realtà, per lasciare il passo a un Chaplin-personaggio, ora barbiere ebreo ora dittatore ridicolo: la comicità si fa satirica, la parola diviene veicolo per esprimere una morale che vorrebbe (o dovrebbe) essere popolare. Chaplin, nel celebre discorso a conclusione del magnifico film, si appella all’intera umanità con parole che, ancora oggi, non possono che commuoverci.

Ribadiamo un punto fondamentale: 1940.
Che cosa, a 75 anni di distanza, può spingere ad allestire uno spettacolo teatrale a partire da una fonte simile?
Il film è, in un certo senso, figlio del proprio tempo e gran parte del suo valore dipende da questo; ne consegue che un lavoro basato su un’analoga operazione, privo però di originalità, rischia quantomeno di risultare anacronistico. La comicità di Chaplin, che è il motore stesso delle sue opere, risulta qui fuori luogo, quasi fastidiosa.

I dialoghi e le scene (con gli opportuni tagli, certo) sono quasi identici a quelli del film o, meglio, del suo doppiaggio italiano, dal quale si attinge anche la marcata inflessione dialettale di Mussolini/Napoloni. La rappresentazione cui assistiamo, nel 2015, risulta banale nel suo svilito moralismo. Fin troppo semplice, forse, appellarsi alla concezione per cui “un capolavoro è sempre attuale”, ben più complesso essere capaci di adattare un passato ormai lontano (non ignoriamo tuttavia la vetusta età media del pubblico incontrato al Giglio) a un presente che, se anche ne condivide molto, non vi si può riconoscere totalmente.

Tosca e Venturiello in 'Il grande dittatore'La debolezza dell’operazione, insomma, ci pare essere una scrittura troppo semplice, con la pura volontà di dar corpo ai personaggi della pellicola, senza considerare la complessa e inevitabile lontananza tra cinema e teatro.
Anche dal punto di vista musicale, gli attori-cantanti, in genere ben preparati, intonano melodie d’ispirazione klezmer, ma raramente, pur essendoci numerosi momenti corali, si incorre in fenomeni di polifonia: i testi paiono privi di profondità, le voci, amplificate, apprezzabili.
Non vorremmo sembrare disfattisti e teniamo a evidenziare anche i pregi di una rappresentazione che, tutto sommato, può risultare gradevole (ne sono la prova i copiosi applausi). Citiamo almeno, per la considerevole abilità vocale e non, Lalo Cibelli, che interpreta Napoloni/Mussolini con particolare verve, e Tosca, i cui fin troppo lamentevoli momenti solistici potrebbero tuttavia essere reputati ammirevoli.

La scenografia è suggestiva, perfettamente adattata ai diversi momenti dello spettacolo: un edificio di due piani si erge sul palco, al livello superiore vi è l’abitazione di Hannah e a quello inferiore la bottega del barbiere; eppure, la struttura, ruotando, diviene sia il palazzo sia il pulpito da cui Hynkel il tiranno tiene le proprie orazioni, in una lingua mista di suoni gutturali e parole italiane appena accennate (stentato adattamento della lingua del dittatore di Chaplin). Gli attori si muovono disinvolti e precisi, capaci di dar vita alla grande costruzione che occupa il palco, in modo da creare i presupposti per cui la bottega di un barbiere possa trasformarsi, in pochi secondi, nel palazzo di un dittatore, fino a divenire un’enorme svastica.

Poco entusiasmati usciamo dunque dalla sala e scriviamo una recensione povera di emozione.

Grande dittatore - Tosca e Massimo Venturiello foto Federico Riva

VERDETTAZZO

Perché: No
Se fosse... un uovo sarebbe... quello che si rompe prima di arrivare in frigo

Locandina dello spettacolo



Titolo: Il grande dittatore

regia Giuseppe Marini e Massimo Venturiello con Massimo Venturiello, Tosca e con Lalo Cibelli, Camillo Grassi, Franco Silvestri, Gigi Palla, Gennaro Cuomo, Nico di Crescenzo, Pamela Scarponi, Alessandro Aiello musiche Germano Mazzocchetti scene Alessandro Chiti costumi Sabrina Chiocchio luci Umile Vainieri coreografie Daniela Schiavone Sono passati più di settant’anni da quando Charlie Chaplin, nel 1940, scrisse, diresse e interpretò il suo primo film parlato, Il grande dittatore, geniale e pungente satira antinazista realizzata quando le armate del Terzo Reich avevano ormai soggiogato l’intera Europa. Da allora, il mondo è cambiato, noi siamo profondamente diversi e così anche l’assetto politico del mondo. Eppure la realtà contemporanea presenta strane e inquietanti analogie. Una crisi economica che ricorda quella del ’29, il crollo delle banche, l’inflazione, la disoccupazione e la depressione. L’incredibile attualità de “Il grande dittatore” risplende ancora oggi come un vero e proprio inno alla libertà, all’amore e alla speranza, come fulgido esempio di coscienza
impegnata, di denuncia politica e di condanna verso ogni forma di sopruso. «Potrebbe sembrare un’idea presuntuosa decidere di confrontarsi con un progetto di questa portata. Ciò che mi tranquillizza è il fatto che il Teatro, quello vero, non insegue paragoni, ma è materia viva, creativa, e questo lo distingue da qualsiasi altra forma artistica. C’è da tremare di fronte al genio di Chaplin allo stesso modo con cui c’è da tremare di fronte al genio di Shakespeare; l’approccio, a mio avviso, deve essere lo stesso. Forse la domanda più spinosa è “come” interpretare un ruolo, anzi due, che sono diventati un’icona del talento e della mimica chapliniana. Anche in questo il Teatro mi viene in aiuto. Ho sempre creduto che uno dei compiti dell’attore sia quello di “ascoltare”; le parole dei tuoi interlocutori danno vita alle tue, le azioni degli altri in qualche modo determinano le tue e ciò che accade in scena sarà quindi il risultato di queste relazioni. In questo senso il nostro spettacolo sarà “altro” rispetto alla versione cinematografica. È invece fondamentale mantenere l’ironia, il sarcasmo e l’irresistibile comicità di un’opera in cui la musica, composta per l’occasione da Germano Mazzocchetti, e le parti cantate, impreziosite dalla presenza di un’artista come Tosca, saranno grandi protagonisti» (Massimo Venturiello) «Un teatro in cui non si deve ridere è un teatro in cui si deve ridere»  (Brecht, Scritti teatrali, II) «La Storia ci ha insegnato che ogni regime dittatoriale si avvale di una precisa e spiccata teatralità per imporsi e radicarsi. Teatralità di costumi, simboli, gesti, idiomi e il capolavoro chapliniano vuole essere, a mio avviso, una profonda meditazione sulla connessione, sempre perniciosa, poco affidabile e oggi più che mai di incontrovertibile attualità, fra teatralità e politica. Chaplin ne Il grande dittatore, il suo primo film parlato col quale dà l’addio alla maschera di Charlot, parodizza l’aberrazione nazista mettendola in ridicolo. In ambito teatrale e nello stesso periodo l’avventura brechtiana, con l’elaborazione di strumenti concettuali – straniamento – come modo di partecipazione critica al mondo della Storia, produceva Terrore e miseria del Terzo Reich e La resistibile ascesa di Arturo Ui. Il nesso tra Chaplin e Brecht è dunque per me molto stimolante e troverà un riscontro in ambito registico nella realizzazione dello spettacolo che, come ogni trasposizione teatrale da un’opera cinematografica, prevede irrinunciabili tradimenti, ovvero delle “scelte” e ambisce ad essere altro rispetto all’originale e in questo altro si colloca la presenza autorevole e carismatica di Massimo Venturiello per il doppio ruolo del dittatore e del barbiere ebreo. Di non marginale importanza poi la musica (colonna sonora e songs) di Germano Mazzocchetti, brechtianamente quasi una drammaturgia parallela al testo parlato. E se si parla di musica, è inutile dilungarsi troppo sulla presenza di una voce unica ed eccezionale come quella di Tosca, per il ruolo di Anna» (Giuseppe Marini)

Sara Casini
Sedicente studentessa universitaria, apparentemente giovane: nella realtà ha almeno il doppio degli anni e il triplo della malvagità dimostrate dagli occhioni azzurri e il sorriso inoffensivo.