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Il ruggito e il canto della solitudine nel Ligabue di Elisabetta Salvatori

Sguardazzo/recensione di "Delicato come una farfalla e fiero come un'aquila"

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Cosa: Delicato come una farfalla e fiero come un'aquila
Chi: Elisabetta Salvatori
Dove: Bagnone (MS), Teatro Ferdinando Quartieri
Quando: 30/07/2015
Per quanto: 70 minuti

Il palco è spoglio, pochi oggetti; una luce discreta, dalle tonalità ocra, illumina una valigia rigida di molti anni fa e una tela bianca. L’attrice entra indossando un abito bianco lungo, al collo un piccolo specchio.

Elisabetta Salvatori porta in scena un lavoro ispirato alla vita del pittore Antonio Ligabue. Si tratta di uno spettacolo di narrazione: la performer passa dal racconto in terza persona ad alcuni primi piani interiori volti a penetrare l’anima tormentata dell’artista. Nei momenti di introspezione, la voce si fa acuta e, sostenuta dall’accento emiliano, l’attrice compie la sua personale metamorfosi. Il pittore era solito andare in giro con uno specchio appeso al collo, talvolta riflettendosi per spalancare la bocca ed emettere orribili suoni gutturali, simili a ruggiti. L’attrice propone il rito più volte interrompendo il flusso della narrazione. La tela al centro della scena non rimarrà bianca: più volte la raccont-attrice si avvicina, dipinge qualcosa, ma solo alla fine dello spettacolo sarà chiaro di cosa si tratta.

La storia desolante di un uomo solo, tradito e abbandonato da tutti, che trova la propria personale umanità nel rapporto con gli animali e con la natura, viene narrata con pacatezza; l’attrice non scivola mai verso tonalità patetiche. Nella prima parte la Salvatori ri-vive la nascita (il parto) del pittore: si accascia morbidamente sulle assi del palco, senza un’intenzione meramente realistica; non illustra il dolore fisico, bensì un dolore altro, come se non stesse mettendo al mondo un figlio, ma una solitudine troppo desolante. Più avanti l’attrice culla un bambino immaginario (e sé stessa), dondolandosi seduta sulla valigia: qui, più ancora che nel racconto, si schiude tutta la struggente nostalgia di madre che caratterizzerà la vita di Antonio.

Salvatori_Ligabue_sito_ApualandL’infanzia, povera e solitaria, del futuro artista è resa attraverso frammenti; lo stesso avviene per il passaggio dalla madre naturale a quella adottiva. Nella seconda parte troviamo Ligabue in Emilia, emarginato, in una baracca, a scaldarsi con la paglia e con gli animali vivi che lo accompagnano. È in questa sequenza che Salvatori rende al meglio, fisicamente, l’infinito desiderio dell’artista: desiderio di donna, di carne, di calore e di madre. Una corporeità a tratti languida e l’uso attento della voce (dal canto al ruggito) conducono il pubblico all’interno di una vita terribile e toccante, priva di gesti d’amore e di tenerezze.

Quando, inaspettato, il successo arride al pittore ormai è tardi; Ligabue è un esiliato, incapace di vivere seguendo le regole della società, incapace di risparmiare; la solitudine è cronica, nessuna donna gli si concede, nemmeno le prostitute lo vogliono. Una frase illumina più di altre il senso profondo della vita del pittore e dello stesso lavoro della Salvatori: “Non aveva mai posseduto nulla, aveva solo la sua memoria”. La memoria, ancora e vela allo stesso tempo; bussola e cielo stellato.

Attraverso il racconto si fa strada una sorta di pietas, il ruggito si fa qualcosa di diverso dal richiamo bestiale dell’inizio; la voce della Salvatori si sostituisce alla madre e alla donna che il pittore non stringerà mai, in un abbraccio a distanza, sensuale e salvifico. Lo spettacolo si chiude con il funerale di Antonio, il suono di una banda accompagna l’attrice che esce di scena gridando con gioia frasi in dialetto emiliano: un crescendo emozionante e toccante. L’anima tormentata del pittore è salva, la porta via con sé la donna in bianco, la donna che porta il nome di sua madre, la donna che gli ha restituito la voce. Sulla tela ormai è perfettamente riconoscibile il muso di una tigre che spalanca le fauci.

Ligabue-Testa-di-tigre-

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... una canzone sarebbe... "Anime salve" di Fabrizio De André

Locandina dello spettacolo



Titolo: Delicato come una farfalla e fiero come un'aquila

di Elisabetta Salvatori

Produzione Final Crew On stage
In colaborazione con la Consigliera di Parità


Raccontare di Ligabue non è solo raccontare di un artista folle. È l'opportunità di toccare diversi argomenti: l'Italia degli emigranti, agli inizi del secolo scorso, la Svizzera di quel periodo, dove Antonio nacque e visse l'infanzia. Il rapporto dell'artista con le due madri: quella naturale e quella adottiva, l'arrivo in Italia, la mancanza di una patria, le due guerre, la bassa Reggiana, il Po, la solitudine, il degrado e soprattutto il talento di pittore. Mentre si affermano le avanguardie artistiche e l'astrattismo, Antonio dipinge le sue storie di tigri e pollai. Vivrà per sette anni in una baracca sul Po, mangiando gatti. Emarginato, deriso rifiutato perfino dalle donne dei bordelli, ma sempre fiero della sua arte, grazie alla quale, prima di morire, avrà riconoscimenti e soldi. Raccontare di Ligabue, è raccontare una vita così difficile, che sembra impossibile che sia stata vissuta.

Alessandro Cei
Classe 1982. Musicista, cantautore, educatore. Supplente nella scuola dell’infanzia e primaria, si occupa di canzone d’autore, musica, tradizione orale e teatro. Laureato due volte con tesi sul teatrocanzone di Gaber e Luporini, crede in Bob Dylan e nella fatica.