Sorge dalle tenebre il Mefistofele di Boito

Sguardazzo/recensione di "Mefistofele"

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Cosa: Mefistofele
Chi: Arrigo Boito, Francesco Pasqualetti, Enrico Stinchelli, Giacomo Prestia
Dove: Pisa, Teatro Verdi
Quando: 20/03/2016
Per quanto: 210 minuti

Concludere una stagione con lo sguardo proiettato verso il futuro: al Teatro Verdi di Pisa l’opera che sigilla il cartellone lirico, Mefistofele, è anche il nucleo centrale del nuovo ciclo di Una gigantesca follia. Concluso il biennale Don Giovanni Festival, già dall’autunno scorso si è aperta una nuova pagina, tutta dedicata al mito di Faust, dal titolo Demoni e angeli.

L’opera di Arrigo Boito, benché poco frequentata (mancava a Pisa dal 1972, a Lucca addirittura dal 1936) è molto amata dai melomani. Più noto per i libretti verdiani, lo scapigliato si cimenta, qui, nel primo dei suoi due lavori lirici completi (il Nerone, però, sarà rappresentata postumo): la prima messinscena della tragedia faustiana, a Milano nel 1868, fu un fiasco che spinse l’autore a scriverne una seconda versione, rappresentata sette anni più tardi a Bologna, con risultati migliori. Composta di un prologo, quattro atti e un epilogo, ha tratti da kolossal, non solo per la quantità enorme di coristi (centocinquanta, in questa realizzazione pisana), ma anche qualitativamente: si sente la voce di Dio per ben due volte.

IMG-20160321-WA0001Firma la regia Enrico Stinchelli – conduttore di La barcaccia su Radio Tre, apprezzato programma di divulgazione melodrammatica in onda dal 1988 – che sembra voler assecondare questa monumentalità, grazie a un apparato composto di cinque potenti videoproiettori. L’effetto è illusionistico, specialmente durante il prologo, in cui sul palco sembra prendere vita un cielo stellato in perenne movimento, mentre nel buio canta il coro al gran completo. Un momento di grande effetto, che si interrompe dopo pochi minuti, in occasione della recita domenicale, per via di un guasto al proiettore centrale (per il quale si era già registrato il ritardo a inizio spettacolo). Intendiamoci: gli imprevisti possono accadere e non sono quelli a decretare l’insuccesso di un allestimento, al massimo di una singola recita. La scritta WATCHOUT [in alto a sinistra] che appare prepotentemente su tutta la scena in un momento delicatissimo, comunque, suscita un paio di riflessioni.

Mefistofele, Boito-Stinchelli, Pisa 2016 (ph. LSDA)Intanto, una volta collassato l’impianto tecnico, è risultato evidente che, almeno in quel segmento, la videoproiezione era l’elemento centrale, tanto che quello che resta in scena è solo uno strano buio [foto a destra]. Certo, c’è la musica di Boito (e il Prologo, insieme al Preludio, è un momento di indimenticabile bellezza), ma per una ventina di minuti si è assistito a un concerto al buio. In secondo luogo, se un allestimento punta molto su un sistema così delicato, a questo dovrebbe corrispondere un equivalente investimento produttivo, avendo un tecnico pronto per eventuali imprevisti.

Nonostante la tensione nell’aria, lo spettacolo è poi andato avanti senza intoppi, quasi facendo dimenticare il guasto accidentale. Pur in un cast di altissimo livello, la “palma d’oro” va senza dubbio a Giacomo Prestia, il basso che ricopre il ruolo eponimo: non solo per la voce, che ha già riscosso successi anche in ambito scaligero, ma anche per la prestanza con cui ha saputo tratteggiare un Mefistofele cupo e terrigno, quasi metallaro con il costume caratterizzato dal gilet di pelle.

Mefistofele, Boito-Stinchelli, Pisa 2016 (ph. Massimo D'Amato)Pochi gli elementi fisici della scenografia: è onnipresente una grande scalinata bianca, talvolta celata, tavolta integrata dalle proiezioni, che la trasformano ora in castello, ora in parete rocciosa. La parte video, mai così centrale come nel prologo, ha il compito di caratterizzare i numerosi ambienti in cui si svolge la vicenda: sempre d’effetto, in alcuni segmenti diventa “di maniera”, e par di udire una voce esclamare “abbiamo speso tanto, usiamola il più possibile“.

Al netto di alcune perplessità (probabilmente meno evidenti in una recita senza intoppi tecnici), l’allestimento è pregevole, degna chiusura di una stagione coraggiosa e caratterizzata da un pubblico sempre numeroso ed entusiasta.

Mefistofele, Boito-Stinchelli, Pisa 2016 (ph. Massimo D'Amato)

VERDETTAZZO

Perché: Sì, oppure no
Se fosse... un quadro di Veronese sarebbe... esposto dietro un vetro rigato

Locandina dello spettacolo



Titolo: Mefistofele

opera in un prologo, quattro atti e un epilogo
di Arrigo Boito
libretto di Arrigo Boito
da Goethe

Mefistofele Giacomo Prestia
Faust Antonello Palombi
Margherita Valeria Sepe
Elena Elisabetta Farris / Alice Molinari
Marta Sandra Buongrazio
Nereo Sergio Dos Santos
Pantalis Moon Jin Kim
Wagner Sergio Dos Santos

direttore Francesco Pasqualetti
regia Enrico Stinchelli
scene Biagio Fersini su ideazione di Enrico Stinchelli
videomaker Mad About Video (MAV) di Malta
disegno luci Michele Della Mea

Orchestra della Toscana 

CLT Coro Lirico Toscano (M° del Coro Marco Bargagna)

con la partecipazione di
Coro dell’Università di Pisa e Laboratorio Lirico San Nicola (M° del Coro Stefano Barandoni)
Pueri Cantores di San Nicola e Santa Lucia (M° del Coro Emma Zanesi)

nuova coproduzione Teatro di Pisa (capofila), Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Sociale di Rovigo


Il 5 marzo 1868, alla Scala di Milano, andava in scena il Mefistofele di Arrigo Boito: vivissima era l’attesa per l’opera di questo esordiente, letterato e musicista di ventisei anni, padovano, ma punta di diamante dell’intellettualismo scapigliato della capitale lombarda, e già molto conosciuto per le sue radicali posizioni progressiste, wagneriane, come si diceva allora, per i nuovi ideali estetici proclamati nella sua attività di critico musicale e di poeta. Nell’entusiasmo per le tematiche della cultura germanica, care alla scapigliatura fino a Catalani, ai giovani Mascagni e Puccini, quale testo meglio del Faust poteva servire alla realizzazione dell’ambizioso progetto di rinnovamento dell’opera italiana? E, naturalmente, non solo la vicenda amorosa di Margherita, già cantata sulle scene da Charles Gounod, ma tutto il poema, con i suoi episodi di impegno politico, filosofico, religioso, in cui si sarebbero evidenziate le aspirazioni al nuovo del giovane compositore che, secondo l’esempio wagneriano, si era da solo preparato il complesso libretto. Con in più la scelta di sostituire nel ruolo di protagonista Faust con Mefistofele, «l’incarnazione del No eterno al Vero, al Bello e al Buono», nell’enunciazione dello stesso Boito, ma anche «il dubbio che genera la scienza, il male che genera il bene». Alla ‘prima’, però, il Mefistofele ebbe un insuccesso clamoroso, decretato da un pubblico costretto a stare a teatro per quasi sei ore; di qui i tagli, i rifacimenti e infine la riabilitazione dell’opera nella ‘wagneriana’ Bologna nel 1875. Nella sua riscrittura, Boito compie un radicale intervento sul suo lavoro, lo trasforma in un dramma d’amore dove la figura di Margherita torna ad assumere un rilievo centrale, e imprime all’opera un taglio più in sintonia con il gusto coevo, anche se non pochi episodi e alcune soluzioni originali meritano ancora attenzione e apprezzamento: ma più sul piano dell’invenzione musicale che su quello drammaturgico, in cui un alto artigianato letterario e un nobile impegno intellettuale non sono sufficienti a creare un teatro nuovo per l’Italia post-unitaria, ma solo a documentarne le aspirazioni alquanto velleitarie e retoriche. Alle spalle del dotto musicista stanno, assai più che i maestri del nostro teatro lirico, i compositori d’oltralpe: Gluck e la sua ricerca sul recitativo, Mendelssohn e il fantastico, anche il Beethoven della Sonata ‘a Kreutzer’), con echi delle eroiche sonorità wagneriane. Il tutto innestato su una autentica vena sentimentale, su una cantabilità quasi da romanza da salotto.

Andrea Balestri
Non è il Pinocchio di Comencini. Apparentemente giovane, studia teatro (non solo) musicale tra Pisa e Roma. Serie tv, pulizie e viaggi in treno occupano il resto della sua vita. Archivia i ricordi in congelatore e si lava i capelli tutti i giorni.