Le sorelle Macaluso: il lessico famigliare di Emma Dante

Sguardazzo/recensione di "Le sorelle Macaluso"

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Cosa: Le sorelle Macaluso
Chi: Emma Dante
Dove: Prato, Teatro Fabbricone
Quando: 08/02/2015
Per quanto: 70 minuti

Capita talvolta, quando assistiamo a spettacoli diretti o interpretati da grandi nomi, di restare delusi. Spesso si tratta di serate assolutamente dimenticabili, se non per la firma autorevole, per esempio, di un Ronconi o di un Koršunovas. È con questa triste consapevolezza che entriamo al Fabbricone di Prato per assistere a Le sorelle Macaluso di Emma Dante.

L’aria nel teatro strapieno è carica di attesa: forse anche il resto del pubblico condivide il nostro stesso timore. Quando cala il buio, in scena cresce, timidamente, una luce soffusa che non lascia intravedere il fondale. Appare una ballerina, Alessandra Fazzino, vestita con camicia e pantaloni neri, che comincia a volteggiare nel vuoto e nel silenzio. A un certo punto appare dall’oscurità la schiera degli altri attori, in un plotone corvino e preciso in cui, talvolta, alcuni componenti inciampano: emblema di una famiglia – i Macaluso – numerosa e unita, ma anche legata da rapporti malati e funestata dalla morte (quasi quanto i conterranei Malavoglia, per intenderci). Altri segmenti di grande potenza espressiva – su tutti la lotta con gli scudi – precedono il climax gioioso che coincide con il cambio d’abito: svestita l’anonima tenuta total black, le sette sorelle svelano degli sgargianti prendisole colorati e si dispongono in fila sul proscenio, una accanto all’altra rivolte verso il pubblico.

Le sorelle Macaluso, Emma Dante (no credit)

Proprio questa impostazione prossemica è un primo e importante richiamo alle origini: anche in mPalermu gli attori erano disposti in questo modo. A nostro parere, qui Emma Dante sta rielaborando quello che nel 2001 era un piccolo gioiello, e che oggi può sviluppare in una messinscena di più ampio respiro.

Emma Dante, 'Le sorelle Macaluso' (ph. Carmine Maringola, da stabilenapoli.it) 19Sembra di leggere, in filigrana, una serie di citazioni che Dante inserisce per strizzare l’occhio allo spettatore più affezionato: la morte di Maria [in foto], con la bocca spalancata, è visivamente simile alla morte in piedi di Nonna Citta; Davide Celona riprende il suo predecessore Sabino Civilleri nella sequenza in cui gioca a pallone vestito da Maradona; la danza finale di Fazzino richiama quella, in quel caso corale, della scena Il miracolo dell’acqua in mPalermu: in entrambi i casi la nudità nel buio è rischiarata dall’alto con una luce calda, creando un intrigante effetto di chiaroscuro. Anche l’ambientazione è la stessa: in entrambi i casi è spoglia, senza scenografia, con lo spazio che cambia grazie all’uso ingegnoso dell’illuminazione. Ultimo collegamento, non secondario, la presenza in entrambi i cast di Italia Carroccio (nella primissima versione nel 2001 era Zia Lucia), attrice dantiana della prima ora.

Come un’equazione sempre uguale e sempre diversa, Dante affronta sempre i temi che le sono cari, ma, a differenza della matematica, qui cambiando l’ordine degli addendi il risultato è sempre nuovo e sorprendente. Con questo ritorno alle origini, la regista siciliana ci propone uno spettacolo essenziale, pulito, preciso, quasi chirurgico nello stabilire una relazione profonda con lo spettatore. Se la lingua – un siciliano stretto, ma allo stesso tempo inesistente (è la personalissima lingua di Emma Dante) – crea una distanza tra scena e pubblico, ci pensa il linguaggio a unire. Il livello di suggestione – quella che solo il teatro può creare con tale potenza – è altissimo, tanto che gli spettacoli della compagnia Sud Costa Occidentale hanno tanto successo in Italia quanto in Francia. Proprio nel cercare una relazione intima col suo spettatore il teatro ha la sua raison d’être, e sarà in grado di superare qualsiasi ostacolo di mancanza di spazi, di finanziamenti, di pubblico. Emma Dante ha da tempo vinto queste sfide e oggi ne ha superata un’altra: dimostrarsi all’altezza della sua firma.

 

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... un temporale sarebbe... visto dalla spiaggia, poco lontano, senza bagnarsi

Locandina dello spettacolo



Titolo: Le sorelle Macaluso

testo e regia di Emma Dante
con Serena Barone, Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Italia Carroccio, Davide Celona, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi, Stephanie Taillandier
luci Cristian Zucaro
armature Gaetano Lo Monaco Celano
foto Carmine Maringola
produzione Teatro Stabile di Napoli, Théâtre National (Bruxelles), Festival d’Avignon, Folkteatern (Göteborg)
in collaborazione con Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale
in partenariato con Teatrul National Radu Stanca – Sibiu


Il Teatro Stabile di Napoli, nell’ambito del progetto europeo “Città in Scena – Cities on Stage” torna a produrre una creazione di Emma Dante Le sorelle Macaluso. Nella sua nota, la regista palermitana scrive: "Un controluce impedisce ai nostri occhi di vedere sul fondo. Sul fondo c’è l’oscurità. La scena è vuota. Soltanto ombre abitano questo vuoto finché un corpo, dal cono di buio, viene lanciato verso di noi. L’oscurità espelle una donna. Adulta. Segnata. A lutto. Viene danzando verso di noi. Dal fondo, a poco a poco, appaiono tre, cinque, sette, dieci facce. Sono vivi e morti mescolati insieme. Ma non si capisce chi è vivo e non si capisce chi è morto. Tutti sono a lutto. A lutto eterno. Il piccolo popolo avanza verso di noi con passo sicuro. La donna danzante si unisce al corteo. “Le sorelle Macaluso” sono uno stormo di uccelli che partecipano al proprio funerale e a quello degli altri. Sospesi tra la terra e il cielo. In confusione tra vita e morte. La famiglia è composta da sette sorelle, Gina, Cetty, Maria, Katia, Lia, Pinuccia e Antonella morta qualche anno fa. Durante la cerimonia le sorelle si fermano a ricordare ad evocare a rinfacciare a sognare a piangere e a ridere della loro storia. È il funerale di una di loro. Nel confine tra qua e là, tra ora e mai più, tra è e fu, i morti sono pronti a portarsi via la defunta. Se ne stanno in bilico su una linea sopra cui combattere ancora, alla maniera dei pupi siciliani, con spade e scudi in mano. Al momento, immagino un controluce, abiti scuri e un cammino. Una famiglia in movimento che entra ed esce dal buio. Vedo un giovane padre apparire alla figlia cinquantenne, una moglie avvinghiata al marito in un eterno amplesso, un uomo fallito anche da morto, vedo i sogni rimasti sospesi tra le ombre e la solitudine e vedo gli estinti stare davanti a noi con disinvoltura. Tutto si ispira al piccolo racconto che mi fece una volta un amico. Sua nonna, nel delirio della malattia, una notte chiamò la figlia urlando. La figlia corse al suo letto e la madre le chiese: “in definitiva io sugnu viva o morta?” La figlia rispose: “viva! Sei viva mamma!” E la madre beffarda rispose: see viva! Avi ca sugnu morta e ‘un mi dicìti niente p’un fàrimi scantàri. (sì, viva! Io sono morta da un pezzo e voi non me lo dite per non spaventarmi.)

Andrea Balestri
Non è il Pinocchio di Comencini. Apparentemente giovane, studia teatro (non solo) musicale tra Pisa e Roma. Serie tv, pulizie e viaggi in treno occupano il resto della sua vita. Archivia i ricordi in congelatore e si lava i capelli tutti i giorni.