Il colpo gobbo di Goretti

Sguardazzo/recensione di "Gobbo a mattoni"

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Cosa: Gobbo a mattoni
Chi: Riccardo Goretti, Massimo Bonechi
Dove: Prato, Giardini di Sant’Orsola
Quando: 27/07/2016
Per quanto: 70 minuti

Il teatro è arte strana, insidiosa, sfuggente. Diremmo persino mercuriale, ma poi ci accusano d’esser criptici (i dizionari online non sarebbero irreperibili…) e, poiché vorremmo sottrarci a certe dinamiche, non lo diciamo. Ops… A volte, si resta incantati (o perplessi o smarriti) con fantasmagorie inimmaginabili, testualità gemmate, artifici sonori da musica delle sfere. In altre occasioni, è sufficiente un semplice, umanissimo, trascurabile attore. Vi risparmiamo la fregnaccia dell’anagramma con teatro (in realtà, ce la giochiamo ogni volta possibile), benché la curiosa coincidenza, in italiano, ha il merito d’accendere una luce, titillare una fertile sensazione.

Prato, giardino “scoperto”, due passi dal Metastasio, eppure quasi remotamente bucolico. Al bar, panaché (birra e gazzosa alla francese) e vini locali (la miglior e meno battuta area toscana, quella dello storico Carmignano) e ZTT, Zona a Traffico Teatrale. Poco oltre, appunto, una platea stretta di sedie in plastica fronteggia un tavolino, niente più. Sfuma il sottofondo: un piazzato di luci rischiara la scena.

ERiccardo Goretti, 'Gobbo a mattoni' (FB), 01ntra Riccardo Goretti. Anzi no, è il Sindachino, militante tradito, giocatore incallito, compagno aduso all’abbandono. Di prospettive e idee, sogni e luoghi, compreso il circolo ARCI di cui si sta celebrando, al contempo, cinquantennale e chiusura. Non lui, che attende i tre compari di sempre: Dumenuti, Krusciovve (più volte sindaco del paese), la Madonnina, presenza muliebre ancorché bestemmiatrice di prim’ordine. Li attende per la briscola, facendo e disfacendo un solitario impossibile, sigaretta dopo sigaretta. Ogni sera da quindici anni, nonostante tutto e tutti, cascasse il mondo, anche e dinanzi a quel mazzo mancamentato il cui fante di denari (il gobbo a mattoni, del titolo, appunto) andò perduto.

E tra la leggendaria inaugurazione con Gianni Morandi, le successive commemorazioni e l’ormai prossima serrata, ecco la storia declinante, occidente (voce del verbo occidere) d’una comunità tenuta assieme da un’idea che era, in realtà, una confusa nebulosa d’istanze, di necessità, di dolori da riscattare.
La recitazione di Goretti è il pezzo forte, ben più e ben oltre d’un falso monologo (in scena arriva pure Massimo Bonechi, sua la regia) composto coi crismi d’una drammaturgia popolar-toscana a rammentare, nell’originalità, certi soli di Alessandro Benvenuti: è come se nello sguardo accigliato, nei trabocchi vocali, nel curvar di spalle s’insinuassero gli artisti che l’attore casentinese ha studiato, nell’etimo latino di amare, in anni di proficua gavetta. Le delicate ruvidezze di Carlo Monni, i guizzi del miglior Benigni, certi lampi di quel Kaemmerle compagno di peripezie recenti. Senza furbizie o truccacci, e n’avrebbe donde, a far venir giù tutto a suon di risa e battimani.

Riccardo Goretti, 'Gobbo a mattoni' (FB), 02È un’ode autobiografica al tramonto, questo Gobbo : strappa risa al labbro, gocce all’occhio, palpiti al cuore. A un mondo, a un tempo, a quando esistevano i luoghi (curioso che il percorso degli Omini, ex gruppo di Goretti, si concentri sulle stazioni ferroviarie quali non luoghi). Erano le Case del Popolo, di nome e fatto, posti in cui, citiamo una storica sitcom americana, “Everybody knows your name“, sottoinsiemi speciali e migliori dei bar: si svolgeva la vita, non catodica e non (ancora) preda dello spettacolo, di un’Italia in prevalenza maschile, certo da non idealizzare (si pensi ancora al Cioni Mario benignesco), ma che non è affatto disumano rimpiangere. Almeno un po’.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... una canzone sarebbe... "Casa del popolo" degli Ottavo Padiglione

Locandina dello spettacolo



Titolo: Gobbo a mattoni

di Riccardo Goretti
con Riccardo Goretti e Massimo Bonechi
regia Massimo Bonechi
Progetto RitrovArciSpazio Teatrale Allincontro // ZTT – Zone a Traffico Teatrale


Goretti, detto in paese “Sindachino”, è fermo al suo tavolo da briscola, al circolino, ad aspettare i suoi compagni di sempre: “Krusciovve”, il suo compare storico, due volte sindaco del paese (e da questo, per la loro assidua frequentazione, deve il suo soprannome Goretti), passato da PCI a PDS a DS a PD a NONVOTANTE. “Dumenuti”, che da ragazzo faceva l’attore nel teatro e da vecchio s’è rovinato col videopoker. “La Madonnina”, Marigia Martinelli, che pare una madonnina in effetti, ma bestemmia come un camionista. Ma stasera nella sala delle carte non viene nessuno. Perchè domani il circolino, dopo 50 anni esatti d’onorata carriera, chiuderà per sempre. Son tutti di là, a festeggiare, a dare l’addio a quelle sale ingiallite dal tempo e dalle sigarette. Il Sindachino non s’arrende. E aspetta. Facendo un solitario. Nel suo schema di carte c’è un buco: da quel mazzo, che i 4 non hanno mai cambiato negli ultimi 15 anni, manca il gobbo a mattoni. Poco importa, basta saperlo, e riadattare le regole del gioco è un attimo. Ma il mazzo perdio non si cambia. Così, mentre aspetta e gioca con quel mazzo mancamentato, il Sindachino racconta. Racconta di sé (poco) e degli altri (tanto) e di cosa è accaduto in 50 anni dentro al circolino. Finché Massimo il barista va ad avvertirlo che di là la festa è finita. Sono andati tutti via, e lui sta iniziando a sbaraccare, che domani si chiude, ma per davvero… e allora, come spesso accade nella vita, e noi neanche ce ne accorgiamo, non rimane che una cosa da dire. E una cosa da fare.  

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.