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Tempi moderni, quinta serata: (ancora) Santa Margherita e Badia di Cantignano

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Seconda settimana di spettacoli: stessi spazi, ma cambio di testi, musiche e interpreti: in luogo delle danzanti Giselda Ranieri e Ilenia Romano troviamo quindi due giovani “acquisti” di ALDES, ossia Riccardo De Simone ed Erica Bravini, rispettivamente impegnati sulle note della Gaudats Junk Band e di Stefano Giannotti; per quanto riguarda la parte recitata, ecco che Marco Brinzi e Caterina Simonelli (recentemente coppia comica per l’Ape teatrale del Giglio: ne parleremo presto) si dividono i testi firmati da Andrea Cosentino e Marcela Serli, vale a dire EvasioniVoglio cambiare lavoro.

Man mano che si procede con le visioni, oltre alle osservazioni già proposte circa la natura dei contesti in cui si tengono le varie performance, accade di approfondire la tipologia di lavoro effettuata per questi brevi ma tutt’altro che banali allestimenti: lo stesso Mariano Nieddu, che ritroviamo impegnato con funzioni operativo/logistiche (gli spettatori devono lasciare i propri dati, per questioni sanitarie), ci conferma come, pur senza mai essersi incontrati di persona, lui e Riccardo Goretti si siano messi in contatto in fase di scrittura del testo, in modo tale che, pur nell’oggettiva difficoltà della situazione, le drammaturgie sono state pensate appositamente per il loro primo interprete, e non abbinate in un momento successivo.

L’altro aspetto interessante, dopo aver visitato tutte le corti ospitanti le esibizioni, è rappresentato, in questo primo (e, per chi scrive, unico) assaggio di seconda settimana, dal poter ritornare in due di queste, cercando di individuare eventuali cambiamenti di attitudine da parte del pubblico, anche in termini di mero apprezzamento dell’iniziativa.   

Si evade, a Santa Margherita

Per la sua terza serata di spettacolo, Corte Luporini si presente in una forma un poco più dimessa rispetto alla prima. L’estate e l’ora piuttosto inconsueta (sono le 20) possono fungere da ragionevoli spiegazioni per un minore afflusso di persone, cosa certamente non imputabile né ai nomi né al tipo di proposta scenica.
Evasioni ha inizio con le musiche della Gaudats Junk Band, un complesso musicale che utilizza esclusivamente strumenti costruiti con materiali di riciclo: la partitura è molto mossa, si muove tra generi che vanno dal country al funky, senza disdegnare l’inserimento di qualche inserto vocale, rigorosamente (e scientemente) caotico. De Simone, codino a treccia e gileino che, data la calura, non gli invidiamo affatto, si profonde in una sequenza coreutica ricca di ammiccamenti e soluzioni al limite dell’atletismo: sfrutta in ogni modo lo spazio disponibile, e anche di più, cadendo (volontariamente) oltre la pedana e riscaldando non poco la platea di infanti che, come nella scorsa occasione, rappresentano la prima fila di pubblico, interessato quanto vivace.
Il danzatore lascia presto campo all’attore: Brinzi, papillon, giacchetta e occhialetto intellettualoide, si cuce addosso il personaggio d’un improbabile critico cinematografico, qui sopraggiunto per raccontare la strampalatissima trama di un film che include Brad Pitt, Mara Venier e una serie di interventi neurologici in grado di sostituire i ricordi. Accento vagamente nordico, ritmo serrato, gestualità secca, a tratti affettata: la caratterizzazione è convincente, solidissima, specialmente se si considerano le condizioni ambientali. Si capisce che il testo cosentiniano ha una sua natura compiuta, da teatro vero, per quanto possa sembrare una squinternata e labirintica elucubrazione absurdista: in alcuni momenti, l’interprete, “sentendo” la platea, “tira dentro” il pubblico, e lo fa pure bene (l’esperienza balanzoniana dell’Ape ha probabilmente un ruolo in tutto questo), benché il tipo di monologo non consenta facili “aperture” verso l’esterno. Nondimeno, la capacità di tenuta attorica è impressionante e, se coi bambini il gioco è un po’ più complicato, la parte di pubblico più adulta si lascia trascinare volentieri nel tourbillon verbale di Brinzi/Cosentino.
Come “prima”, ci è sembrata la più interessante: il testo, come sempre accade con l’attautore abruzzese, dribbla e gioca con il collasso, per denotare, anzi, una raffinata quadratura di senso (la riflessione su alto e basso, su arte e intrattenimento, concetti più volte lambiti dai lavori di Cosentino), l’attore, pure in condizioni non ottimali (una corte meno calda del solito, con un numero di persone inferiore a quello critico per avere un ritorno reale in termini di risposta), ha sfoderato una prestazione mirabile, come certi piloti di Formula 1 che, con gomme lisce, chiudono alla grande un gran premio piovoso.
Applausi.  

Cercare lavoro, a Badia di Cantignano

La seconda performance della serata, mentre Evasioni si inerpicava verso Ruota dove ci hanno detto abbia fatto sfracelli, rappresenta con il ritorno, per chi scrive, in quel della Cortaccia, di certo spazio tra i più suggestivi, ma che, nella scorsa occasione, aveva forse denotato un poco di timidezza rispetto all’allora debuttante Per i bischeri non c’è paradiso. E, a conferma che uno degli aspetti più interessanti di questa rassegna sia il carotaggio socio-antropologico e non solo la cronaca scenica, dobbiamo ammettere di aver trovato un ambiente estremamente cresciuto rispetto alla volta scorsa: non tanto in termini di presenze, ma quanto a risposta, capacità di seguire le esibizioni e gli spunti offerti dalle artiste e, non da ultimo, il piacere di un momento finale, collettivo, bevendo qualcosa offerto dalla gente del posto, in una manifestazione di condivisione e accoglienza che, davvero, può costituire un valore aggiunto di questo tipo di iniziativa.

Appena giunti, scorgiamo di lato le due performer, non foss’altro per i vistosissimi costumi: Caterina Simonelli, mutandoni lunghi, corpetto e gigante copricapo in piume, deambula intrappolata dallo “scheletro” di un vestito stile Settecento, al quale manca, però, l’ampissima gonna bombata. Ha, inoltre, il volto interamente coperto da due dita di biacca cerea, come del resto Erica Bravini, calze nere e silhouette da ballerina di carillon: le due artiste non passano certo inosservate, camminando per guadagnarsi il lato della pedana dove si esibiranno, il che, già di per sé, contribuisce non poco a portare l’ambiente a una giusta temperatura.
Quelle di Stefano Giannotti, sin da subito, ci paiono le musiche più azzeccate: inarrestabilmente giocose, fondono strumenti vieppiù eterogenei (dal banjo al contrabbasso, dagli archi e suoni d’ambiente), peccando, al limite, di eccessiva ricchezza. La costruzione denota un’assoluta padronanza linguistica, specie nei passaggi ritmici e di colore: l’impressione è che si possa virare, in ogni momento, verso qualsiasi altra soluzione timbrica, il che non fa mai calare l’attenzione per cosa si sta ascoltando. Bravini sfrutta al meglio l’ampia gamma di spunti, costruendo una partitura da dolce marionetta innervata d’un che di meccanico, quasi un andamento a molla, alla cui riuscita contribuisce, qui forse più che negli altri casi, il costume ordito da Desirée Costanzo.
Tocca a Caterina Simonelli: ostentata erre moscia, cadenza vagamente nordica, entra in scena con un fare completamente frastornato, innescando una serie di lazzi con Leonardo, il tecnico sull’altro lato della pedana. Ci ricorda un po’ certi caratteri di Franca Valeri, ma chissà che la suggestione non derivi dal centenario della grandissima attrice festeggiato in questi giorni. Il costume aiuta non poco nel catalizzare la divertita attenzione degli astanti, che vengono via via trascinati in una girandola di spunti comici: l’impressione è che il testo di Serli sia costruito, al contrario del precedente, in modo tale da poter consentire vie di fuga all’interprete, possibilità che Simonelli non si lascia sfuggire, sfruttando perfettamente le occasioni offerte, soprattutto, dal bambino Enea che, a un certo punto, diventa quasi co-protagonista fuori scena. La drammaturgia lascia spazio all’interpretazione (seduta al lato, pure Erica Bravini ride di gusto), col risultato di perdere forse il senso del discorso di Serli, giacché, per quanto in forma comica e paradossale, ognuno dei testi proposti dalla rassegna contiene, alla fine, un nucleo di senso. Nondimeno, lo spettacolo nel suo complesso è apparso riuscitissimo, pure nel suo dilungarsi rispetto alle previsioni, aspetto che ci è sembrato particolarmente apprezzato dal pubblico, come confermato dal terzo tempo a concludere questa prima sequenza di repliche.

 

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.

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