Sotterraneo, o della distrazione di massa

Sguardazzo/recensione di "Overload"

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Cosa: Overload
Chi: Sotterraneo, Daniele Villa, Claudio Cirri, Sara Bonaventura, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Giulio Santolini,
Dove: Barga (LU), Teatro dei Differenti
Quando: 05/12/2018
Per quanto: 82 minuti

Un giorno qualcuno s’occuperà del teatro inquieto-comico espresso, negli ultimi decenni, in Toscana. Pare evidente, infatti, l’esistenza di artisti originali, indipendenti, ancorché non ignari dell’operato altrui, che si confrontano con la comicità, senza rinunciare a un’innegabile profondità teatrale: Sacchi di Sabbia, Omini, Sotterraneo, Andrea Kaemmerle e Riccardo Goretti, gente che ha in comune ben più d’una mera corregionalità, e che ci pare una composita e salutarissima risposta alla cristallizzazione d’un filone sorto negli anni Settanta coi Benigni, Benvenuti e i Giancattivi, poi atrofizzatosi nella declinazione commercialotta dei Pieraccioni e dei Panariello.

Sotterraneo (nel nome, il termine Teatro è caduto da un po’) è formazione gagliarda: offre scritture sceniche stratificate, a buccia di cipolla per dirla con Umberto Eco, che consenteno a diversi tipi di fruitore svariate possibilità di ricezione. Overload non fa eccezione: ha molto dei lavori passati (ricordiamo L’origine della specie, La repubblica dei bambini, War now!), segnando un ulteriore, felicissimo, scarto.
Overload significa sovraccarico: tutti siamo subissati da stimoli, richiami, suonerie, in un’ossessiva e continua perdita coatta di attenzione. Come pesci rossi, secondo un luogo più che comune. Da qui, un lavoro multiforme, d’ironia canagliesca e umorismo feroce, mascherati, in superficie, da gioco.

Un acquario, a sinistra, poco altro. E un uomo, in tenuta da tennis. Parla al pubblico: dice d’essere «scrittore, nordamericano, morto». Straniamento spiazzante: nessuno “riconosce” David Foster Wallace, pur negli ostentati segni iconici. Con un pirandellismo cabarettistico, l’attore specifica di non essere veramente chi dice d’essere, ma viene presto interrotto dagli altri interpreti nella presentazione delle “regole” d’una performance in cui la frattura (del discorso, dell’attenzione, del pensiero) sarà la cifra principale: a ogni disturbo, il pubblico potrà scegliere se “esplorare” i contenuti addizionali offerti dal diversivo, o continuare ad ascoltare Wallace. Che parlerà di depressione, dolore, del suo suicidio, in una lancinante elaborazione autobiografica, sommandovi l’insistito riferirsi all’elemento acqueo, reiterata marcatura di vari momenti del sempre franto discorso.

Spettacolo peculiarissimo, davvero doloroso e divertente (l’etimo richiama il vertere altrove, appunto), commistione di alto e basso, vero e falso, poesia e rumore: tra blob e Black Mirror, spietate metafore del nostro malandato mondo contemporaneo. Tutto è tarlato, corroso, destinato a un riso in apparenza lenitore, eppure mai liberatorio: il mandare, anzi andare, in vacca quale unica destinazione probabile, capolinea quasi obbligato.

Le interruzioni sono bizzarri trabochetti perpetrati dal coro formato dagli altri quattro performer; mai casuali o gratuiti, connotati di un’inquietudine da american grotesque che attinge al divismo sportivo (un improbabile Phelps nuota in platea; due tenniste mimano scambi) sino al (finto) finale con parodia del video di Smells Like A Teen Spirit, canzone manifesto di un’era (di cui Forster Wallace è considerato portavoce), lancio di ortaggi incluso, ovviamente verso la scena.
Sin qui, bene, ma, forse, non benissimo.

Il catartico trionfo vegetale non è, però, l’epilogo. I cinque attori inscenano un ordinario rientro a casa post-spettacolo: ognuno enuncia il proprio pensiero e poi si rivolge agli altri, gioco brechtiano comico e insolente. Il viaggio automobilistico, evocato dall’ingegnoso movimento corale, si carica via via di elementi inquietanti, concludendosi con uno schianto: l’auto, piombata nel fondo d’uno specchio d’acqua, consegna alla morte, narrata in prima persona, tutti, uno dopo l’altro.
E nello scendere allo sprofondo, pure della bellissima In The Pine (versione Nirvana, ovvio)
, s’inabissa tutto, compreso il sovraccarico delle nostre vite.
Applausi, applausi, applausi.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... un oggetto domestico sarebbe... un telecomando (funzionante)

Locandina dello spettacolo



Titolo: Overload

concept e regia Sotterraneo
in scena Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Giulio Santolini
scrittura Daniele Villa

luci Marco Santambrogio
costumi Laura Dondoli
sound design Mattia Tuliozi
props Francesco Silei
grafica Isabella Ahmadzadeh
promozione internazionale Giulia Messia

produzione Sotterraneo
coproduzione Teatro Nacional D. Maria II nell’ambito di APAP – Performing Europe 2020, Programma Europa Creativa dell’Unione Europea
contributo Centrale Fies_art work space, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG
con il sostegno di Comune di Firenze, Regione Toscana, Mibact, Funder 35, Sillumina – copia privata per i giovani, per la cultura

residenze artistiche Associazione Teatrale Pistoiese, Tram – Attodue, Teatro Metastasio di Prato, Centrale Fies_art work space, Dialoghi – Residenze delle arti performative a Villa Manin, La Corte Ospitale – progetto residenziale 2017, Teatro Studio/Teatro della Toscana, Teatro Cantiere Florida/Multiresidenza FLOW

Sotterraneo fa parte del progetto Fies Factory, del network europeo Apap – Performing Europe 2020 ed è residente presso l’Associazione Teatrale Pistoiese


1 paragrafo. 199 parole. 1282 caratteri. Tempo previsto 1’ 10’’. Riesci a leggere questo testo senza interruzioni? L’attenzione è una forma d’alienazione: il punto è saper scegliere in cosa alienarsi. Per questo sembriamo sempre tutti persi a cercare qualcosa, anche quando compiamo solo pochi gesti impercettibili attaccati a piccole bolle luminose e non si capisce chi ascolta e chi parla, chi lavora e chi si diverte, chi trova davvero qualcosa e chi è solo confuso. Sei arrivato fin qui senza spostare lo sguardo? Davvero? E non è insopportabile questo sforzo di fare una cosa soltanto alla volta? Guardati attorno: quante altre cose attirano la tua attenzione? Ora guardati dall’alto: riesci a vederti? Le superfici dei territori più densamente abitati della Terra sono coperte da una fitta nebbia di messaggi, immagini e suoni in cui le persone si muovono, interagiscono, dormono. A volte si alzano rumori più intensi, che la nebbia riassorbe subito mentre lampeggia e risuona. Visto da qui il pianeta sembra semplicemente troppo rumoroso e distratto per riuscire a sopravvivere – persino i ghiacciai si sciolgono troppo lentamente perché qualcuno presti attenzione alla cosa. Torniamo al suolo e guardiamoci da vicino: stiamo tutti mutando… in qualcosa di molto, molto veloce.

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.