Sacri bilanci: note a margine di un festival

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Io, che sono Arlecchino, e i miei compagnucci siamo reduci dal festival I Teatri del Sacro.
Ammettiamolo: non amiamo particolarmente certi consessi. A volte, però, li frequentiamo con piacere e fatica, come occorso in questa occasione, alla quale abbiamo consacrati anima e corpi (vale proprio la pena di dirlo), cercando di glissare sull’obbligo implicito di darsi un tono o sembrare intelligenti, anzi peggio: arguti. Una faticaccia.

Esaurita l’edizione corrente, l’appuntamento va al 2017, sperando che, nel frattempo, Lucca si doti di migliorìe quanto a spazi scenici (il Teatro San Girolamo è perfetto per una birreria, il Real Collegio è bello, ma troppo defilato, specie per gli incontri con il pubblico) e pure per la pianificazione degli eventi.

Giusto, infine, dopo una settimana tanto intensa e articolata, proporre un minimo bilancio.
Ci apparecchiamo dunque con indolente volontà, a enumerare le “cose” che, in numero di sette e assieme ai compagnucci di cui sopra (siano essi i “titolari” o la cantera di virgulti cui abbiamo offerto spazio e supporto, che ringraziamo di cuore, assieme alla solerte Silvia Varrani), potrebbero essere “portate a casa” o, almeno, ricordate.
Eccole.

  1. Le riflessioni più interessanti
    Le abbiamo colte, pur nella non coincidenza di opinioni, sul finire della manifestazione, spesso in letture “sfumate”, o libere, del tema, dopo un inizio di festival parso, invece, più supino a declinazioni poco sorprendenti (o efficaci) in tal senso. Fuori i nomi: Fabrizio Pugliese e il suo Giuseppe Desa da Copertino, Corrispondenze di Claire-Lise Daucher e Anne Palomeres (sarà un caso che in entrambi i lavori ci sia lo zampino drammaturgico di Francesco Niccolini?), l’esilarante “idiozia” di Caino Royale, sino ai piccoli gioielli degli “immorali” Carullo-Minasi e di Punta Corsara, con quest’ultima, ci pare, giunta davvero a una promettente maturità in chiave sia autorale sia performativa.
  2. La mancanza di scenografie
    I tempi sono quelli che sono e, proprio per questo, un festival che s’impegna produttivamente nella realizzazione di nuovi spettacoli rappresenta occasione ghiotta e interessante per gli artisti, furbi o paraculi che siano (si veda il punto 5). Vero è che, nella quasi totalità dei casi, abbiamo viste scene sgombre, magari “necessarie” alla messinscena, con qualche sparuta e non sempre felice eccezione (Gabbathà ci è parsa una vera, caotica occasione mancata). Lo diciamo, tanto mica ci ascoltano!, ai finanziatori (la CEI): la prossima volta, più soldi!
  3. La certezza/rassegnazione che Napul’è semp’ Napule
    Croce e delizia, teatro a cielo aperto, realtà paradossale in grado di sfuggire continuamente, specie all’intenzione (ogni volta dichiarata) di non fare retorica. Quella che, non assegnamo colpe, trasudava comunque e copiosa nell’incontro della domenica mattina, interamente dedicato a Partenope. Con gli scugnizzi di Punta Corsara a darsi di gomito, ricordando Il convegno, spettacolo in cui, qualche anno fa, avevano preso di mira proprio questo genere di ritualità social-sociologiche. Pur nell’amore per la città di Eduardo, il dubbio è: siamo sicuri che certe dinamiche di Napoli, nel complesso, non siano le stesse di Catania, Palermo, Bari, Taranto?
  4. La curiosità sulle contromarche
    A fronte di un’organizzazione pronta, talvolta ruvida, ma efficiente, e che solo in un’occasione è parsa in difficoltà (programmi cartacei e sito davano diverse indicazioni sulla collocazione del medesimo spettacolo), in occasione dell’evento più atteso, La volontà di César Brie, al pubblico “ordinario” sono state consegnate dinanzi l’entrata delle fatidiche contromarche, bigliettini d’ingresso (gratuiti) subito ritirati, al momento di entrare, dagli stessi che li avevano erogati pochi secondi prima. Ci stiamo ancora interrogando in merito, ma siamo rimasti affascinati.
  5. Un dubbio
    Non di natura spirituale, anzi: un festival come questo, pur nelle migliori intenzioni, non rischia d’orientare artificialmente un comparto in grave e lunga crisi, incoraggiando, mediante l’attrattiva delle risorse economiche, gli artisti al confronto con temi che questi, altrimenti, non tratterebbero? This is the problem, talvolta emergente alla prova del palco (non poche le incompiute di questa e delle passate edizioni, ma non necessariamente in mala fede), benché ci convincano le risposte (tutt’e tre, a loro modo, corrette) dateci da Alberto Salvi, Luca Ricci e César Brie. Senza dimenticare pure quelle di Fabrizio Fiaschini, direttore artistico del festival.
  6. La gioia di aver schivato ogni tipo di selfie
    Con artisti, critici (soprattutto), membri dell’organizzazione, passanti o pubblico.
    Persino amici. Meglio così, davvero.
  7. Le magliette di Claudio Bernardi
    Giraldo Bernardi FiaschiniChe hanno superato di gran lunga gli occhiali di Mario Bianchi e di cui riportiamo un mero esempio (neppure il più fulgido, ma rende l’idea) nella foto qui di lato.
    Per coloro che nutrissero dubbi, Bernardi è quello al centro: alla sua sinistra posa Francesco Giraldo, mentre a destra lo abbraccia un sorridente (o paralizzato?) Fabrizio Fiaschini.
    Bernardi è docente di storia del teatro presso l’Università Cattolica, a Brescia, ed è uno dei ras della manifestazione (con Gabriele Allevi, Ernesto Diaco, Francesco Giraldo, Giorgio Testa e lo stesso Fiaschini).
    Dialogante, instancabile e appassionato (se partecipa agli incontri è quasi impossibile non sforare coi tempi, e neppure di poco),
    animato da vigoroso spirito d’accoglienza e amicizia, ha persino offerto pranzo a una minuta ma gagliarda commissione arlecchina, svelando il mistero misterioso circa l’esistenza di buoni pranzo.
    Buono, anzi buoni, a sapersi.
    Peccato fosse l’ultimo giorno.
    Diavoli di arlecchini che altro non siamo.

Eccoci qua, dunque.
Sette punti.
Sette.
Come le virtù, i peccati capitali, i doni dello Spirito Santo, le piaghe d’Egitto, i sacramenti cattolici, i Sigilli apocalittici, le vittorie a Wimbledon di Federer, Sampras e Renshaw, i fratelli Cervi.
E i nani di Biancaneve.

Di seguito una galleria di immagini prese dagli spettacoli di questa edizione.
Tutte le fotografie sono di Eugenio Spagnol, che ringraziamo, assieme a tutti coloro che ci hanno letti, incontrati, apprezzati, insultati e sopportati.

l'Arlecchino
È un semplicione balordo, un servitore furfante, sempre allegro. Ma guarda che cosa si nasconde dietro la maschera! Un mago potente, un incantatore, uno stregone. Di più: egli è il rappresentante delle forze infernali.

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